STUDIO LEGALE CUNICO

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INDICE

 

CAPITOLO 4) L’ASSEGNO DI MANTENIMENTO


QUANDO HO DIRITTO AGLI ALIMENTI?

Gli alimenti vengono in genere confusi con l’assegno di mantenimento, che è un istituto completamente differente.

L’assegno alimentare, (disciplinato dal XIII titolo del primo libro del Codice Civile) spetta al parente indigente, l'assegno di mantenimento invece al coniuge separato.

L'assegno alimentare che, come appena detto, spetta al parente caduto in stato di idigenza è posto a carico di altri parenti specificamente individuati dalla legge (art. 433 c.c.): fratelli, generi, nuore, suoceri oltre a coniuge, figli, etc., è di bassa entità e serve a consentire la sola sussistenza in vita.

L’assegno di mantenimento spetta invece al coniuge separato ed ai figli, per consentire la conservazione del tenore di vita goduto in costanza di matrimonio qualora il primo non abbia adeguati redditi propri.

L’assegno alimentare, per quanto sopra, non è nemmeno disciplinato dalla legge sulla separazione che si occupa invece del differente istituto dell’assegno di mantenimento.

(La Legge sulla separazione fa un solo riferimento all’assegno alimentare prevedendo l’ipotesi di un coniuge separato con addebito e dunque privo del diritto all’assegno di mantenimento, -vedi il cpitolo sulla separazione con addebito-  che versi in stato di indigenza -art. n. 156 c.c. comma 3- al quale è previsto che sono dovuti i soli alimenti).


QUANDO HO DIRITTO AD UN ASSEGNO DI MANTENIMENTO PER ME?

Nella separazione la corresponsione dell’assegno di mantenimento spetta al coniuge meno abbiente qualora non abbia adeguati redditi propri art. 156 c.c..

 (Nel divorzio la corresponsione di un assegno, che si chiama “divorzile”, spetta al coniuge meno abbiente quando questi non abbia né adeguati redditi propri, né possa procurarseli per ragioni oggettive art. 5 L 898/70).


A QUANTO AMMONTA L’ASSEGNO DI MANTENIMENTO PER ME?

L'assegno di mantenimento è determinato in misura tale da realizzare lo scopo di consentire al coniuge meno abbiente ed ai figli di conservare il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio, ma “nei limiti che derivano dal fatto della separazione”.

Con la separazione infatti non aumentano i redditi ma raddoppiano quasi le spese: prima bastava un appartamento per l’intera famiglia, poi ne servono due, prima bastava una linea telefonica, poi due, prima bastava un allaccio alla rete del gas, poi ne servono due, un allaccio alla rete elettrica, poi ne servono 2 etc.. L’assegno di mantenimento pertanto non potrà consentire di conservare esattamente il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio.

La Legge non determina specificamente l’ammontare dell’assegno di mantenimento, cioè non stabilisce che esso debba ad es. essere pari ai 2 terzi o alla metà dello stipendio del coniuge più abbiente o ad un terzo etc. Sarebbe infatti impossibile realizzare la conservazione delle condizioni patrimoniali del matrimonio (seppur nei limiti detti) perequando le risorse dei coniugi, con dei calcoli aritmetici predeterminati.
Per perequare le risorse della famiglia e consentire al coniuge meno abbiente di conservare il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio è infatti necessario prendere in considerazione la ricchezza complessiva della coppia. Se ad es. la moglie è casalinga ma ha 10 milioni in banca e il marito guadagna 1000 € al mese e ha 100 € e sul proprio conto bancario, è la moglie a dover pagare un assegno al marito essendo la stessa enormemente più ricca del marito, anche se non ha uno stipendio.
E’ inoltre previsto che debba essere computata anche la cosiddetta “ricchezza potenziale” cioè quella che anche solo potenzialmente è nella disponibilità dei coniugi. Ad es. se il marito è disoccupato ma proprietario di 10 appartamenti che tiene sfitti e la moglie è disoccupata nullatenente, il marito non può presentarsi dal giudice e dire che ha sì 10 appartamenti ma siccome li tiene sfitti allora non può pagare un assegno alla moglie perché non ha redditi. In questo caso il giudice incaricherebbe un perito di valutare a che prezzo potrebbero essere locati gli appartamenti e condannerebbe poi il marito a pagare un assegno sulla base di tale determinazione, cioè sulla base della cosiddetta ricchezza potenziale, a nulla rilevando la circostanza che gli appartamenti non sono in quel momento effettivamente messi a frutto. Se il proprietario non corre a locare i propri appartamenti per pagare gli assegni, la legge prevede che detti appartamenti dell'esempio vengano venuti alle aste pubbliche, trasformati in denaro e il denaro così ottenuto versato al coniuge beneficiario, nell’esempio la moglie, nella misura degli assegni dovuti. (Vedi prossimi paragrafi).

L’assegno di mantenimento per il coniuge meno abbiente, a differenza di quello per il mantenimento dei figli, non è obbligatorio e può essere rinunciato.

 Nella separazione consensuale pertanto il coniuge meno abbiente, che per questo in astratto ha diritto di ricevere un assegno, può scegliere di non prevedere un assegno per se nelle pattuizioni che regolano i propri rapporti patrimoniali convenute con l’altro coniuge e nella separazione giudiziale può scegliere di non chiedere al giudice di disporre un assegno di mantenimento per se.

Essendo l’assegno di mantenimento del coniuge un diritto disponibile e rinunciabile, il coniuge meno abbiente può scegliere di non averlo, oppure di averne uno di misura inferiore a quella che gli spetterebbe. Per contro il coniuge più abbiente è libero di offrire un assegno generoso superiore a quello che spetterebbe all’altro in base alla legge, cioè alle regole sopra indicate. Tali regole infatti sono previste per il caso di una mancanza di accordo dei coniugi sulla misura dell’assegno, che in caso di accordo può essere fissato in una misura di una qualunque entità.

QUANDO HO DIRITTO AD UN ASSEGNO DI MANTENIMENTO PER I MIEI FIGLI?

A differenza dell’assegno di mantenimento per il coniuge che riguarda diritti disponibili e, come appena detto, può essere rinunciato, l’assegno di mantenimento per i figli è un diritto indisponibile e non può essere rinunciato.

 L’assegno per i figli è pertanto obbligatorio e deve essere necessariamente previsto nelle pattuizioni dei coniugi con le quali regolano i propri rapporti nella separazione consensuale e viene sempre disposto dal giudice nella separazione giudiziale.

 Spetta pertanto sempre al genitore meno abbiente un assegno a carico dell’altro con il quale quest’ultimo deve concorrere al mantenimento dei figli generati dalla loro unione.

Ciò anche se i genitori non sono sposati ma sono conviventi more uxorio. (Tale obbligo deriva infatti dal fatto della genitorialità e trova fonte non nella normativa sulla separazione ma in quella differente della responsabilità genitoriale alla quale la normativa sulla separazione rimanda).

C’è una sola eccezione alla regola dell’obbligatorietà dell’assegno per il mantenimento dei figli: l’assegno non è dovuto se i figli stessi abbiano adeguati redditi propri. Siccome è possibile donare o testare a favore del concepito, alcuni bambini nascono già proprietari di appartamenti (so per esperienza professionale personale, anche di palazzine). Oppure pensiamo al caso ancor più raro di minorenni che hanno successo nella cinematografia o nel mondo della musica pop conseguendo guadagni rilevanti. In questi casi, molto rari, il giudice può prevedere l’assenza di un assegno di mantenimento per la prole se i genitori si separano. I genitori che sono ex lege amministratori dei beni della prole fino alla maggiore età di questa, sono obbligati a mettere a frutto i beni dei figli per volgere tali risorse alla loro cura ed istruzione.


A QUANTO AMMONTA L’ASSEGNO DI MANTENIMENTO PER I MIEI FIGLI?

La determinazione dell’entità dell’assegno per il mantenimento del figlio (o di più assegni se i figli sono più di uno), soggiace alle stesse regole che determinano l’entità dell’assegno per il coniuge economicamente più debole poco sopra descritte. Il giudice assicurerà alla prole la conservazione del tenore di vita goduto durante il matrimonio dei genitori, seppur con i limiti e nelle modalità sopra indicate.

La differenza con l’assegno di mantenimento per il coniuge, sta nel fatto che L’assegno di mantenimento per i per i figli è obbligatorio.

Trattandosi, come sopra detto di diritto indisponibile, i coniugi sono liberi di prevedere, nelle pattuizioni che gli stessi convengono nell’ambito di una procedura di separazione consensuale, solo una misura dell’assegno superiore a quella determinata dalla legge (secondo i criteri sopra descritti) o la misura determinata dalla legge, ma non possono prevedere una misura inferiore né possono rinunciare all’assegno per i figli.
In tutte le procedure di separazione consensuale è sempre previsto dalla Legge un controllo giurisdizionale della congruità degli assegni previsti dai coniugi per concorrere al mantenimento dei figli, cioè è sempre previsto che un giudice controlli che le pattuizioni sugli assegni per i figli che i coniugi hanno spontaneamente negoziato, siano congrue ed idonee alla cura degli interessi della prole. Se i separandi nelle loro pattuizioni prevedono una misura degli assegni per i figli che viene giudicata dal giudice non congrua, nessuna procedura di separazione consensuale può perfezionarsi.
Anche nella procedura di separazione consensuale con negoziazione assistita, nella quale non è previsto che i coniugi si rechino mai in Tribunale per incontrare il giudice, è fatto obbligo ai loro avvocati di depositare le pattuizioni dei coniugi presso la Procura della Repubblica presso il Tribunale per consentire al giudicante di verificare la congruità della misura degli assegni per i figli (oltre ovviamente all’idoneità del regime di affido).

Nelle procedure di separazione giudiziale è invece il giudice che decide al posto dei coniugi la misura degli assegni per i figli.

Trattandosi di diritti indisponibili, come detto, la misura degli assegni per i figli, in queste preocedure,  viene decisa del giudice dopo aver verificato le risorse della famiglia, senza avere alcun riguardo delle indicazioni dei coniugi con riferimento a detta misura contenute nei loro atti.

Il giudice pertanto nella procedura di separazione giudiziale è libero di disporre assegni di entità superiore anche a quella più alta proposta dai coniugi nei loro atti.

Un dato che incide sulla misura degli assegni per i figli è il tempo che gli stessi passeranno con un genitore e con l’altro. Infatti è evidente che andranno assicurate maggiori risorse a quel coniuge presso il quale i figli passeranno un tempo maggiore.

Per tutto quanto sopra è possibile fare una previsione di massima della misura dell’assegno di mantenimento per i figli computando ed elaborando tutte le risorse inclusa la ricchezza potenziale dei coniugi e il tempo di permanenza dei figli presso ciascuno dei genitori.


SE MIO MARITO NON E’ IN GRADO DI PAGARE UN ASSEGNO DI MANTENIMENTO PER LA PROLE, CHI LA MANTIENE?

Se il coniuge più abbiente dei due non è in grado di mantenere la prole, gli ascendenti possono essere vincolati dal giudice a pagare un assegno al coniuge affidatario esclusivo o a quello presso il quale i giudici hanno collocato i figli prevalentemente o ad entrambi i coniugi. (ciò  anche in costanza di matrimonio. (art.lo 316 bis. c.c.).


POSSO CHIEDERE DI VERSARE L’ASSEGNO, CHE PAGO PER CONCORRERE AL MANTENIMENTO DEI FIGLI, AI FIGLI STESSI E NON ALL’ALTRO CONIUGE?

Quando i figli sono minorenni l’assegno per concorrere al loro mantenimento va pagato al coniuge affidatario o coaffidatario perchè questi volga tale risorsa al sostentamento e alla cura dei figli. Pertanto, in questo periodo, il creditore degli assegni di mantenimento dei figli è il coniuge affidatario o coaffidatario e a lui vanno pagati.

Quando il figlio o i figli diventano maggiorenni è possibile versare direttamente agli stessi gli assegni per il loro sostentamento (art.lo 337 septies c.c.). Tuttavia tale possibilità non si verifica automaticamente al compimento della maggiore età della prole. I figli maggiorenni possono diventare creditori della prestazione dell’assegno al posto del genitore affidatario solo per decisione del Tribunale.

E’ infatti il giudice a decidere se i figli hanno raggiunto una maturità tale da consentire loro una corretta gestione del denaro. Ove non rinvenga tale maturità (si pensi al caso che il figlio abbia dato prova di non eseguire una matura amministrazione delle proprie risorse o al caso estremo che sia alcolizzato o tossicodipendente), il giudice può disporre che l’assegno venga ancora pagato al genitore collocatario del figlio maggiorenne  perché lo volga al suo  sostentamento ed alla sua cura.

(Quando i figli diventano maggiorenni, il genitore “affidatario” assume il nome di “collocatario” perchè essendo maggiorenni, i figli non sono più “affidati” ma “collocati” presso lo stesso).

Se il figlio o i figli diventano maggiorenni dopo la separazione (o il divorzio) dei genitori, ciascuno dei due coniugi può chiedere al giudice in qualunque tempo successivo al compimento degli anni 18 da parte della prole, di stabilire che l’assegno di mantenimento dei figli debba essere versato a loro stessi e non all’altro genitore, ma, come detto, non è consentito al genitore che paga gli assegni di versarli direttamente alla prole divenuta maggiorenne, senza aver chiesto e ottenuto preventivamente dal Tribunale il riconoscimento di tale facoltà a seguito dell’esperimento di una procedura di modifica delle condizioni di separazione (art.lo 710 c.p.c.) per i motivi sopra descritti.

Se i figli diventano maggiorenni prima della separazione o del divorzio dei genitori tale richiesta andrà avanzata al Giudice nell’ambito delle dette procedure. (art.lo 337 septies c.c.).


CHE SUCCEDE SE L’OBBLIGATO NON PAGA L’ASSEGNO DI MANTENIMENTO STABILITO?

Non pagare un assegno di mantenimento integra fattispecie di reati penali e illeciti civili.

Per quanto riguarda il diritto civile, se un coniuge obbligato al pagamento rimane inadempiente, l’altro può pignorare tutti i suoi beni presenti e futuri, farli vendere alle aste pubbliche, sotto il controllo del tribunale e soddisfare così il suo credito.

Se l’obbligato alla corresponsione dell’assegno ha uno stipendio può essere chiesta la c.d. “distrazione alla fonte” cioè un ordine dato dal giudice al datore di lavoro dell’obbligato di pagare immediatamente al coniuge beneficiario dell’assegno la somma dovuta.



CHE SUCCEDE SE L’OBBLIGATO NON HA PAGATO L’ASSEGNO DI MANTENIMENTO PER MOLTO TEMPO? POSSO CHIEDERLI IL PAGAMENTO DEGLI ARRETRATI OGGI?

    L'assegno di mantenimento è soggetto a prescrizione come qualunque diritto di credito. Attualmente la Corte di Cassazione ha stabilito che tale assegno si prescrive in 5 anni, cambiando l’orientamento previgente in base al quale la prescrizione dell’assegno era considerata decennale. In precedenza la Corte aveva stabilito la prevalenza del criterio della ordinarietà del credito, in quanto consistente nell’obbligo di mantenere la prole, ritenendo irrilevanti le specifiche modalità di pagamento stabilite dalla sentenza, con conseguente prescrizione decennale ex art.lo 2946 c.c.. In pronunciamenti successivi, mutando il proprio orientamento, la stessa Corte ha ritenuto invece prevalente la caratteristica della periodicità del pagamento che interessa gli assegni di mantenimento, con conseguente applicazione della prescrizione quinquennale art.lo 2948 c.c..

Attualmente pertanto la maggior parte dei giudici di merito che sposano l’orientamento della Suprema Corte riconoscono la prescrizione quinquennale dell’assegno.

Pertanto si può ottenere il pagamento coattivo di tutti gli assegni non corrisposti risalenti a non più di 5 anni. (Si può anche chiedere il pagamento di un assegno risalente ad es. a 9 anni e si può anche ottenere una condanna al pagamento di tale assegno, ma solo se la parte contro la quale questa domanda viene avanzata non eccepisce la prescrizione di tale credito in prima udienza).


QUANDO L’ASSEGNO DI MANTENIMENTO È SOGGETTO ALL’AUMENTO ISTAT?

Gli assegni di mantenimento sono sempre –per legge- soggetti all’aumento ISTAT per essere sempre adeguati al mutante costo della vita (con le specifiche modalità stabilite dalla sentenza).


SE NON HO CHIESTO L’AUMENTO ISTAT DELL’ASSEGNO, L’AUMENTO NON MI È DOVUTO?

L’aumento ISTAT dell’assegno è sempre dovuto anche se non richiesto.

È l’obbligato alla corresponsione dell’assegno che deve autonomamente provvedere ad aggiornarlo. Se non viene richiesto l’aggiornamento ISTAT dal coniuge beneficiario e l’assegno non viene aggiornato da anni, egli può sempre chiedere gli arretrati, con il limite della prescrizione quinquennale.


PER QUANTO TEMPO L’ASSEGNO DI MANTENIMENTO PER IL CONIUGE DEVE ESSERE PAGATO?

L’assegno di mantenimento deve essere pagato per il tempo nel quale perdurano le condizioni che ne hanno fondato e giustificato la disposizione da parte del giudice o da parte dei coniugi stessi nelle pattuizioni scritte con le quali hanno regolato i propri rapporti patrimoniali in una procedura di separazione consensuale.

Quindi l’assegno di mantenimento deve essere pagato potenzialmente anche per tutta la vita del coniuge beneficiario. La Legge prevede che non debba essere più pagato nei seguenti casi:

1. Non è più dovuto se il coniuge beneficiario si risposa.

2. Non è più dovuto se il beneficiario consegue adeguati redditi propri. (Occorre sempre un provvedimento del tribunale per essere sollevati dall’obbligo di corresponsione. Quando il beneficiario consegue adeguati redditi propri l’obbligato può chiedere al tribunale la rimozione dell’obbligo di pagare l’assegno).

3. Non è più dovuto se l’obbligato perde i propri redditi non per fatto proprio, (cioè ad es. se viene licenziato non per sua colpa, mentre si conserva l’obbligo di corresponsione dell’assegno se l’obbligato si licenzia volontariamente). Anche in questo caso occorre una decisione del tribunale per rimuovere il titolo che è fonte dell’obbligo di pagare l’assegno.

4. Non è più dovuto se la coppia separata divorzia. (in questo caso l’assegno di mantenimento della separazione cessa, ma può sorgere l’obbligo di pagare l'assegno divorzile. Tale assegno è dovuto se sussistono presupposti diversi rispetto a quelli che giustificano l’obbligo di pagare l’assegno di mantenimento nella separazione. Inoltre nel divorzio, ma non nella separazione, l’assegno periodico può essere sostituito con l’assegno divorzile pagato in un unica soluzione).

5. non è più dovuto (sulla base di un orientamento giurisprudenziale dominante) se il/la beneficiaria/o (cioè il coniuge che ha diritto di ricevere l’assegno), inizia una stabile convivenza more uxorio con altra persona.

6. non è più dovuto se il coniuge più abbiente fa annullare presso la Sacra Rota il proprio matrimonio e poi fa delibare la sentenza di annullamento del proprio matrimonio da un tribunale italiano. In questo caso il matrimonio viene annullato ab origine ed è come se non fosse mai avvenuto, pertanto una volta recepita da un tribunale italiano la sentenza di annullamento emessa dal tribunale ecclesiastico, non può più essere applicata la disciplina che obbliga il coniuge (cioè colui che è sposato) o l’ex coniuge (cioè colui che è stato sposato) a pagare un assegno di mantenimento (se ancora separato) o divorzile (se divorziato) all’altro coniuge.

In questo caso infatti, come appena detto, il matrimonio annullato ab origine si considera come mai avvenuto mentre la disciplina della separazione e quella del divorzio poggiano entrambe sul presupposto che ci sia o ci sia stato un matrimonio.

E’ salvo, anche nel caso di cui al presente punto 6, ovviamente, l’obbligo di pagare assegni per concorrere al mantenimento dei figli.

Tale obbligo infatti non trova fonte nel fatto del matrimonio ma nel fatto della genitorialità (Art.li 337 bis e seguenti).

7. non è più dovuto se l’obbligato chiede ed ottiene una sentenza che statuisce l’invalidità del matrimonio secondo il diritto italiano, ricorrendone i presupposti: per impedimenti (cioè il matrimonio è stato celebrato in mancanza dei requisiti richiesti dalla Legge per la sua celebrazione (artt.li 84-89 c.c.); consenso estorto con violenza (art. 122 c.c.); errore sulla persona o sulla qualità della persona (art. 122 c.c.); matrimonio simulato (art. 123 c.c.).

In questo caso se la sentenza accerta l’invalidità del matrimonio, il matrimonio si considera come mai celebrato. Non essendoci mai stato un matrimonio valido non ci sono nemmeno i presupposti per la conservazione dell’obbligo di pagare un assegno di mantenimento.

Tale obbligo può sorgere infatti solo a seguito di un matrimonio valido. Una volta dichiarato invalido il matrimonio, l’obbligato viene per l’effetto immediatamente sollevato da qualunque obbligo di pagare un assegno di mantenimento.

E’ salvo, anche nel caso di cui al predente punto 7, ovviamente, l’obbligo di pagare assegni per concorrere al mantenimento dei figli.

Tale obbligo infatti non trova fonte nel fatto del matrimonio ma nel fatto della genitorialità Art.li 337 bis e seguenti.


PER QUANTO TEMPO L’ASSEGNO DI MANTENIMENTO PER I FIGLI DEVE ESSERE PAGATO?

Non è più dovuto l’assegno di mantenimento per i figli quando questi:

1. conseguano adeguati redditi propri (ad es. un quindicenne si mette a fare il cantante e guadagna 1 milione al mese: perde il diritto di essere mantenuto dai genitori) o

2. raggiungano un età tale (la legge non la definisce con una cifra, la giurisprudenza la individua attorno ai 32 anni), da far sorgere condizioni oggettive che anche solo in astratto permettono alla prole di procurarsi adeguati redditi propri. Anche solo in astratto significa che perdono il diritto a ricevere un assegno di mantenimento anche se nel concreto i figli non hanno ancora adeguati redditi propri ma sono sorte condizioni oggettive che gli consentono di procurarseli. Alla prole non è consentito dunque di scegliere di farsi mantenere dai genitori dopo i 32 anni.


POSSO CHIEDERE LA MODIFICA DELL’ASSEGNO DI MANTENIMENTO?

Bisogna distinguere a seconda che:
1. l’assegno di mantenimento sia stato disposto da una sentenza in un giudizio di separazione giudiziale o
2. l’assegno di mantenimento sia stato disposto da un decreto di omologa o altro provvedimento equivalente all’esito di una procedura di separazione consensuale.

1) Se l’assegno di mantenimento è stato disposto da un giudice in un giudizio contenzioso (cioè di separazione giudiziale) di primo grado e dunque in Tribunale, si può chiedere alla Corte di Appello (giudizio di secondo grado) di modificarlo, entro i termini previsti dalla legge (30 gg. se la sentenza viene notificata dalla controparte o 6 mesi se non viene notificata), dimostrando che i giudici del primo grado ne hanno erroneamente determinato l’entità.

Si può anche chiedere, rincorrendone i presupposti, nei termini di legge (venti giorni dalla notificazione), alla Corte di Cassazione di cassare cioè annullare la decisione della Corte di Appello e di disporre un nuovo giudizio.

Quando tutte queste procedure sono state esperite, oppure sono decorsi i termini per impugnare la sentenza (del Tribunale o della Corte di Appello) senza che questa sia stata impugnata, non si può più chiedere ad alcun organo giurisdizionale di modificare tale decisione. Si dice allora che la sentenza (l’ultima) è passata in giudicato.

L’ordinamento prevede questo limite per evitare la cosiddetta “incertezza del diritto”, cioè una condizione nella quale pendono per un tempo infinito giudizi per la determinazione dell’assegno senza che questo sia mai definitivamente determinato.

Una volta che la sentenza, che determina l’assegno, è passata in giudicato, è ancora possibile chiedere al Tribunale che l’assegno sia modificato (e ciò un numero illimitato di volte), ma solo se successivamente all’ultimo provvedimento che lo determina, siano intervenute modificazioni dei rapporti patrimoniali per il fatto di uno o di entrambi i coniugi, (ad es. uno ha ricevuto una promozione al lavoro e guadagna molto più di prima, o ha perso il lavoro non per sua colpa e guadagna molto meno di prima).

Una volta che la sentenza è passata in giudicato non è invece possibile, come detto, chiedere l’aumento o la diminuzione dell’assegno in assenza di modificazioni di rapporti patrimoniali intervenute successivamente all’ultimo provvedimento.

Se le modificazioni intervenute sono peggiorative per l’obbligato (alla corresponsione dell’assegno), (ad es. ha perso il lavoro), egli può chiedere la riduzione della misura dell’assegno o la completa rimozione dell’obbligo di pagarlo solo se dette modificazioni sono avvenute in modo indipendente dalla propria volontà. (Ad es. se si è obbligati a pagare l’assegno non è possibile licenziarsi e chiedere su questa base la riduzione o l’eliminazione dell’assegno, magari per fare un dispetto all’altro coniuge. In questo caso infatti l’obbligo di corresponsione si conserverebbe e l’obbligato ne risponderebbe con tutti i suoi beni presenti e futuri, cioè si indebiterebbe nei confronti del coniuge beneficiario (della corresponsione dell’assegno) che potrebbe soddisfare il proprio credito facendo vendere alle aste pubbliche tutti i beni presenti e futuri dell’obbligato e farsi assegnare il ricavato).

Se invece la modificazione in peius delle condizioni economiche dell’obbligato al pagamento dell’assegno di mantenimento è avvenuta per cause a lui non imputabili (ad es. è stato licenziato non per sua colpa) allora può chiedere la riduzione dell’assegno che è obbligato a pagare, o di essere sollevato del tutto dall’obbligo di pagamento dell’assegno di mantenimento all’altro coniuge. Se chi ha perso il lavoro non è in grado di assicurare il sostentamento ai propri figli, il giudice può vincolare gli ascendenti al pagamento degli assegni di mantenimento (art.lo 316 bis. c.c.).

2) Se l’assegno di mantenimento è stato determinato dalla coppia stessa in una procedura di separazione consensuale ormai conclusa, non può essere impugnato in corte di Appello il provvedimento che lo dispone, né in Corte di Cassazione, né può essere chiesto da uno dei coniugi, successivamente, al giudice di disporre d’imperio, contro la volontà dell’altro coniuge, una modificazione dell’assegno semplicemente perchè ci ha ripensato o lamenta un’inadeguatezza dell’assegno deciso di comune accordo.

Ciò per “mancanza di interesse ad agire”: l’ordinamento stabilisce che se un coniuge chiede in accordo con l’altro, nell’ambito di una procedura di separazione consensuale, uno specifico provvedimento, (ad. es. di pagare un assegno di mantenimento pari ad € x), poi non può agire in giudizio contro se stesso lamentando che è stato recepito, nel provvedimento del tribunale, proprio ciò che egli aveva chiesto.

E’ sempre possibile invece per un coniuge chiedere una modificazione dell’assegno anche contro la volontà dell’altro, introducendo un giudizio di modifica delle condizioni di separazione contenzioso, se, successivamente alla conclusione della procedura di separazione sono intervenute modificazioni dei rapporti patrimoniali a carico della coppia.

Tale possibilità è soggetta alle stesse regole e agli stessi limiti sopra indicati nell’ultimo capoverso del punto 1 del presente paragrafo.

Se la coppia si accorda per modificare l’assegno, ricorrendone i presupposti sopra indicati, è possibile introdurre una procedura consensuale a domanda congiunta di modificazione delle condizioni di separazione, domandando entrambi i coniugi al giudice di emettere un provvedimento avente ad oggetto le modificazioni dagli stessi convenute.

Il giudice accoglierà la domanda di modifica, qualunque essa sia, se riguarda l’assegno per il coniuge, mentre se la domanda riguarda l’assegno per i figli la accoglierà solo se ritiene tale modificazione necessaria e congrua rispetto alle risorse della famiglia.

 

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