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INDICE

 

 CAPITOLO 5) L’ASSEGNO DIVORZILE

 

SE DIVORZIO CONTINUERÒ A RICEVERE L’ASSEGNO DI MANTENIMENTO CHE RICEVO DA SEPARATA?

Siccome lo status di “coniuge separato” cessa quando la coppia divorzia e sorge quello di “ex coniuge divorziato”, tutti i diritti che trovavano fonte nel provvedimento che disciplinava la separazione, con il divorzio si estinguono e sorgono invece i diritti che trovano fonte nel diverso provvedimento che dispone il divorzio.

L’assegno di mantenimento per il coniuge meno abbiente è previsto dalla legge solo con riferimento alla separazione e pertanto non è più dovuto dopo il divorzio. Dopo il divorzio può essere invece dovuto il differente assegno divorzile.

Siccome però i presupposti per il riconoscimento dell’assegno “di mantenimento” nella separazione (art.lo 156 c.c.) e quelli per il riconoscimento dell’assegno “divorzile” nel divorzio (art.lo 5 coma 4 L.898/70) sono differenti e gli ultimi più stringenti, il coniuge che godeva di un assegno di mantenimento durante la separazione, con il divorzio non è certo di sostituire l’assegno di mantenimento con uno divorzile di pari entità né di ricevere un assegno divorzile.

In particolare, nel divorzio, c’è un criterio in più da soddisfare per poter ricevere l’assegno divorzile (an) rispetto all’unico criterio che consente di ricevere l’assegno di mantenimento nella separazione e tre criteri in più per determinarne la misura (quantum), rispetto all’unico criterio (l’idoneità a consentire la conservazione del tenore di vita goduto in costanza di matrimonio) che determina la misura dell’assegno nella separazione.


COS’È L’ASSEGNO DIVORZILE

L’assegno divorzile è una corresponsione periodica in denaro che l’ex coniuge più abbiente può essere tenuto a corrispondere all’altro dopo il divorzio.

Il motivo è nel conservarsi di quel vincolo di solidarietà che è sorto con il matrimonio e che il legislatore considera affievolito ma non estinto con il divorzio (c.d. funzione assistenziale dell’assegno divorzile periodico) e nella giusta soddisfazione delle aspettative di benessere economico che il coniuge divorziato ha riposto nel progetto matrimoniale ed ha nutrito durante il matrimonio.


SE NON AVEVO UN ASSEGNO DI MANTENIMENTO DURANTE LA SEPARAZIONE POSSO AVERE UN ASSEGNO DIVORZILE DOPO IL DIVORZIO?

Si. La legge sul divorzio contiene una disciplina indipendente da quella della separazione e differente. Il diritto a ricevere un assegno divorzile va valutato al momento del divorzio, sulla base delle condizioni esistenti al momento del divorzio e sulla base della legge sul divorzio, a nulla rilevando le condizioni pregresse stabilite durante la separazione e il provvedimento emesso in base alla legge sulla separazione.

Così ad es. se durante la separazione l’assegno non era previsto perchè non era stato chiesto è evidente che nel divorzio, sussistendone i requisiti, si può invece avere. Se durante la separazione non si aveva un assegno di mantenimento perchè, pur avendolo chiesto al giudice, era stato da questi negato, si può avere invece nel divorzio un assegno divorzile se le condizioni reddituali dei coniugi sono cambiate o perchè le stesse sono diversamente valutate dal giudice del divorzio (che non è vincolato dalla decisione del giudice della separazione) o perchè sono state meglio prospettate dall’avvocato incaricato di introdurre la procedura di divorzio.


QUANDO POSSO AVERE UN ASSEGNO DIVORZILE?

Come detto, ci sono 4 criteri (art.lo 5 coma 4 L.898/70) in più da soddisfare per poter ricevere un assegno divorzile rispetto a quelli che occorre soddisfare per ottenere un assegno di mantenimento nella separazione della stessa entità.

Il primo criterio che il giudice prende in considerazione determina l’”an” dell’assegno cioè “se” l’assegno è dovuto.

La legge sul divorzio sopra richiamata stabilisce che l’assegno è dovuto se “il coniuge più debole economicamente non abbia mezzi adeguati o non possa nemmeno procurarseli per ragioni oggettive.

Il primo periodo, “se il coniuge più debole economicamente non abbia mezzi adeguati” è sostanzialmente uguale a quello contenuto nell’art.lo n. 156 del Codice Civile che disciplina l’”an” dell’assegno nella separazione. Pertanto se ci fosse, con riferimento all’assegno divorzile, nella legge sul divorzio, solo questa frase, il coniuge separato che riceve un assegno di mantenimento, divorziando, in assenza di modificazioni delle proprie condizioni patrimoniali, avrebbe la certezza di ricevere un assegno divorzile uguale a quello di mantenimento ricevuto durante la separazione.

A differenza della legge sulla separazione però, nella legge sul divorzio, come sopra detto, c’è anche la frase “o non possa nemmeno procurarseli per ragioni oggettive” (art.lo 5 coma 4 L.898/70).

Questa differenza fa si che se il separato che riceve un assegno di mantenimento non ha adeguati redditi propri ma può procurarseli per ragioni oggettive (pensiamo al caso che abbia una buona scolarizzazione e sia giovane), con il divorzio potrebbe non vedersi riconosciuto un assegno divorzile e perderebbe quello di mantenimento perché, come detto all’inizio del presente capitolo, con il divorzio tutti i diritti che trovano fonte nel provvedimento che disciplina la separazione si estinguono.

Estinguendosi tutti i diritti che trovavano fonte nel provvedimento che disponeva la separazione, si estingue anche il diritto di credito rappresentato dall’assegno di mantenimento che pertanto non può essere più preteso dopo il divorzio, mentre il sorgere del diritto a ricevere un assegno divorzile è subordinato al ricorrere della circostanza sopra descritta.

In una recente sentenza (n. 11870/2015) la Suprema Corte ha stabilito che “è onere di chi chiede un assegno divorzile offrire elementi probatori inerenti all’impossibilità oggettiva <…> di procurarsi (dunque autonomamente) mezzi adeguati per conseguire un tenore di vita analogo a quello mantenuto in costanza di matrimonio”.

Quindi chi non è in grado di provare l’impossibilità di procurarsi da solo adeguati redditi propri (perché ad es. ha una buona scolarizzazione, gode di ottima salute ed è giovane e pertanto può trovare lavoro), secondo questo recente orientamento della S.C. non ha diritto ad un assegno divorzile.

In genere una bassa scolarizzazione e un avanzata età sono condizioni che consentono di ottenere sempre un assegno divorzile essendo da se sole probanti del fatto della quasi impossibilità di procurarsi adeguati redditi propri.

Viceversa, come sopra visto, un alta scolarizzazione ed una giovane età vengono considerate come condizioni oggettive che consentono il conseguimento di adeguati redditi propri e possono portare i giudici a negare l’assegno divorzile.

(sono interessanti, relativamente alla fattispecie esaminata nel presente paragrafo, anche delle recenti sentenze (per tutte: Cass., 11 agosto 2011, n. 17195) che hanno stabilito che se l’ex coniuge a cui è stato riconosciuto un assegno divorzile comincia una convivenza more uxorio in modo stabile con altro partner può perdere l’assegno divorzile).

I criteri sopra elencati determinano l’ “an” dell’assegno cioè se l’assegno divorzile è dovuto o meno.


A QUANTO AMMONTA L’ASSEGNO DIVORZILE?

Come appena spiegato, nel divorzio il giudice deve prima verificare l’”an” cioè “se” l’assegno è dovuto sulla base delle regole esposte nel capitolo precedente.

Se l’assegno è dovuto si pone il problema della sua quantificazione il c.d. “quantum”.
Per la determinazione dell’entità dell’assegno vi è un criterio fondamentale, che viene computato preliminarmente, comune alla separazione: l’idoneità dell’assegno a consentire la conservazione del tenore di vita goduto in costanza di matrimonio.

La giurisprudenza dominante sostiene che in astratto la misura dell’assegno dovrebbe consentire al coniuge divorziato di mantenere il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio, con i limiti che derivano dal fatto del divorzio. I limiti dovuti al fatto del divorzio sono quelli che derivano dal lievitare fisiologico delle spese rispetto alla condizione che la coppia ha conosciuto nel matrimonio.

Come già detto nel capitolo sulla separazione, sia la separazione che il divorzio non aumentano i redditi ma aumentano le spese: durante il matrimonio è sufficiente un appartamento per entrambi i coniugi poi ne servono due, prima basta una linea telefonica poi 2, un allaccio alla rete elettrica poi 2 etc, onde la redistribuzione delle risorse fatta con l’assegno divorzile dopo il divorzio (così come con l’assegno di mantenimento dopo la separazione) non potrà mantenere esattamente il tenore di vita della coppia goduto in costanza di matrimonio, che sarà invece “limitato dal fatto del divorzio” nel senso appena detto.
Vi è anche un diverso orientamento giurisprudenziale minoritario secondo il quale invece la misura dell’assegno divorzile deve consentire un tenore di vita dignitoso ma non necessariamente uguale a quello goduto in costanza di matrimonio, (sempre con i limiti che derivano dal fatto del divorzio).

Il motivo di questa divergenza nell’interpretazione della legge è nel fatto che l’art.lo 5 coma 4 L.898/70 stabilisce che è dovuto un assegno a carico del coniuge più abbiente e a favore dell’altro se quest’ultimo “non ha mezzi adeguati”. Ma la legge stessa non specifica adeguati a cosa.

Secondo la giurisprudenza dominante, per “mezzi adeguati” si intende la loro idoneità ad assicurare all’ex coniuge meno abbiente la conservazione del tenore di vita goduto in costanza di matrimonio, non essendo espressamente prevista dalla legge la possibilità di una diminuzione di tale tenore per il fatto dell’affievolimento del vincolo di solidarietà e considerando di giustizia il rispetto delle aspettative di benessere nutrite dal coniuge meno abbiente, che sia incolpevole del fatto del divorzio, durante il matrimonio.

Secondo alcuni pronunciamenti minoritari della Suprema Corte invece (da ultimo Cassazione Civile, sez. I, sentenza 10/05/2017 n° 11504), siccome dopo il divorzio il vincolo di solidarietà sorto con il matrimonio non si è estinto del tutto, ma si è affievolito grandemente, (c.d. vincolo di solidarietà post coniugale) l’assegno non deve essere adeguato alla necessità di conservare il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio ma deve solo assicurare una condizione di vita dignitosa.
In via generale dunque, sulla base dell’attuale orientamento dominante della giurisprudenza della Suprema Corte, l’assegno divorzile, se dovuto, dovrebbe essere preliminarmente quantificato -esattamente come quello di mantenimento nella separazione- con lo scopo di conservare il tenore di vita matrimoniale sia pur con i limiti detti.

Tale criterio, che nella separazione (art.lo 156 c.c.) è l’unico che il giudice usa per determinare l’entità dell’assegno di mantenimento da corrispondere al coniuge meno abbiente (a cui non sia stata addebitata la separazione), nel divorzio viene usato per realizzare un calcolo preliminare da porre a fondamento della determinazione finale dell’assegno che viene realizzata attraverso l’applicazione di altri 3 criteri.

Nel divorzio infatti, (art.lo 5 coma 4 L.898/70), il giudice, per quantificare l’assegno, deve avere anche riguardo:

1) alle condizioni dei coniugi, (cioè all’età, alle necessità di ciascuno, si pensi al caso del coniuge meno abbiente bisognoso di cure mediche. Questo criterio non è ulteriore rispetto a quelli che consentono la determinazione dell’entità dell’assegno nella separazione).

2) alle ragioni della decisione, (cioè al motivo per cui uno dei coniugi ha chiesto il divorzio: si pensi al caso in cui le domande di separazione e di divorzio siano state proposte dal coniuge che ha intrattenuto una relazione extraconiugale durante il matrimonio, allo scopo di proseguirla. Il giudice valuta queste circostanze nella determinazione della misura dell’assegno).

3) al contributo personale ed economico dato da ciascuno:
a) alla conduzione familiare ed
b) alla formazione del patrimonio di ciascuno o
c) di quello comune,
(si pensi al caso a) della casalinga che si è adoperata occupandosi integralmente delle attività domestiche e della prole per permettere al marito (che invece se ne è disinteressato) di fare carriera; al caso b) che il coniuge più abbiente abbia fatto durante il matrimonio delle donazioni importanti all’altro, oppure al caso c) in cui il denaro che ha finanziato gli acquisti di una coppia in comunione dei beni provenga sostanzialmente da uno solo dei coniugi, o al differente caso esposto nelle informazioni basiche sul divorzio (4a colonna pagina “info basilari”). Queste circostanze reagiscono sulla determinazione della misura dell’assegno.

4) al reddito di entrambi, (che include anche la c.d. ricchezza potenziale -trattata nel capitolo sulla separazione-. Questo criterio è sostanzialmente identico a quello che disciplina la determinazione della misura dell’assegno di mantenimento nella separazione e non è da considerarsi come criterio ulteriore nel divorzio).

5) alla durata del matrimonio (questo criterio è presente solo nel divorzio poiché durante la separazione il matrimonio si conserva e può proseguire sine die con la riconciliazione. La ratio della previsione di questo criterio è nel fatto che in un matrimonio breve, la profusione di risorse della coppia nel progetto matrimoniale è stata limitata e la ridotta durata non ha permesso di consolidare importanti aspettative, pertanto l’assegno, se dovuto, sarà proporzionalmente ridotto).
I criteri sopra elencati complessivamente considerati determinano il “quantum” dell’assegno divorzile cioè l’entità dello stesso.


SE AVEVAMO AMPIE RISORSE PER PERMETTERCI UN TENORE DI VITA AGIATO MA DURANTE IL MATRIMONIO SPENDEVAMO POCHISSIMO, QUESTO INCIDE SULLA QUANTIFICAZIONE DELL’ASSEGNO DIVORZILE?

Come appena detto, l’assegno divorzile è quantificato dal giudice con lo scopo di conservare il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio.

Se tale tenore era effettivamente basso, (perché il coniuge più abbiente era tirchio o egoista o erano entrambi parsimoniosi) nonostante la disponibilità delle risorse, questa circostanza non incide sulla determinazione dell’assegno.

La Suprema Corte ha stabilito che “il tenore di vita, da considerare come termine di riferimento, è <…> quello che avrebbero potuto mantenere (i coniugi) in base alle loro potenzialità economiche” (Cass., 26.11.1996, n. 10465). Non quello che hanno effettivamente scelto di avere o quello che il coniuge più abbiente ha imposto all’altro.

Il giudice, per determinare l’entità dell’assegno, ricostruisce il tenore di vita potenziale, cioè quello che la coppia avrebbe potuto avere e non quello effettivo. Altrimenti verrebbe premiato ad es. il marito ricco che lascia la moglie con scarsissime risorse.

La giurisprudenza usa definire -per distinguerli- il tenore di vita potenziale, che è quello che determina l’assegno, per l’appunto “tenore di vita” e quello effettivo “stile di vita” che se (per scelta o forzatamente per volontà dell’altro coniuge) è basso non comporta comunque una diversa (e più bassa) determinazione dell’entità dell’assegno.


SE L’OBBLIGATO NON PAGA L’ASSEGNO COSA SUCCEDE?

L’articolo 8, legge 898 del 1970 prevede dei rimedi nel caso che l’obbligato non paghi l’assegno.

1) il giudice può' imporre all’obbligato di prestare idonea garanzia reale o personale se esiste il pericolo che egli possa sottrarsi all'adempimento degli obblighi di cui agli articoli 5 e 6 (pagamento dell’assegno divorzile e di mantenimento per la prole).

2) la sentenza di divorzio è immediatamente esecutiva e costituisce titolo per iscrivere una ipoteca giudiziale (art.lo 2818 codice civile);

3) in caso di inadempimento per un periodo di almeno trenta giorni, il coniuge beneficiario, dopo la costituzione in mora dell’obbligato, può' notificare il provvedimento in cui e' stabilita la misura dell'assegno ai terzi tenuti a corrispondere periodicamente somme di denaro al coniuge obbligato (datore di lavoro, ente erogatore della pensione, locatari di immobili di proprietà dell’obbligato, ecc.) facendo sorgere con questa procedura l’obbligo in capo a tali soggetti di versargli direttamente le somme dovute, ed il residuo ovviamente all’obbligato. (Lo Stato e gli altri enti indicati nell'articolo 1 del testo unico delle leggi concernenti il sequestro, il pignoramento e la cessione degli stipendi, salari e pensioni dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 5 gennaio 1950, n. 180, nonché gli altri enti datori di lavoro cui sia stato notificato il provvedimento in cui e' stabilita la misura dell'assegno e l'invito a pagare direttamente al coniuge cui spetta la corresponsione periodica, non possono versare a quest'ultimo oltre la meta' delle somme dovute al coniuge obbligato, comprensive anche degli assegni e degli emolumenti accessori;

4) l’obbligato che si sottrae al pagamento può inoltre essere perseguito penalmente ai sensi dell’articolo 570 del codice penale per violazione degli obblighi di assistenza familiare.

5) l’obbligato che si sottrae al pagamento può inoltre essere perseguito penalmente ai sensi dell’articolo 388 del codice penale per mancata ottemperanza ad un sentenza del giudice civile .

6)su richiesta dell'avente diritto, il giudice può' disporre il sequestro dei beni del coniuge obbligato a somministrare l'assegno


SE DOPO IL DIVORZIO IL MIO EX CONIUGE FA CARRIERA E GUADAGNA DI PIÙ O AUMENTANO LE MIE ESIGENZE NON PER MIA COLPA AD. ES. PER CURARE GLI ACCIACCHI DELL’ETÀ, POSSO OTTENERE UN AUMENTO DELL’ASSEGNO?

Si. L’assegno divorzile può essere sempre modificato art.lo 9 comma 1 L. 898/70 (quindi aumentato o diminuito) su domanda dell’obbligato o del beneficiario e in assenza di un accordo anche d’imperio dal giudice, in qualunque tempo e in un numero illimitato di volte, purché si siano verificate delle modificazioni dei rapporti patrimoniali successive all’ultimo provvedimento che li regola, in modo da adeguare la misura dell’assegno alle mutate condizioni degli ex coniugi.

Se le modificazioni delle condizioni patrimoniali di un coniuge sono peggiorate, questo peggioramento non deve derivare dal fatto proprio. (Cioè non è consentito licenziarsi volontariamente allo scopo di non pagare l’assegno divorzile, in questo caso il giudice respingerebbe la domanda di riduzione od eliminazione dell’assegno, mentre, se si viene licenziati o si subisce una riduzione dello stipendio non per propria colpa, si può chiedere la riduzione dell’assegno da pagare all’altro ex coniuge o la sua totale eliminazione in dipendenza delle condizioni della coppia a seguito delle modificazioni).

In assenza di modificazioni dei rapporti patrimoniali successive al divorzio, non è possibile chiedere una modifica, cioè un aumento o una diminuzione dell’assegno divorzile periodico.


QUANDO SI PERDE L’ASSEGNO DIVORZILE?

L’assegno divorzile (periodico) non deve essere più pagato:

1. se l’ex coniuge si risposa, (il fatto delle nuove nozze del coniuge meno abbiente solleva l’altro dall’obbligo (art.lo 5 penultimo comma L. 898/70) di continuare a pagare l’assegno divorzile)

2. se il coniuge beneficiario consegue adeguati redditi propri o sorgono le condizioni per cui possa procurarseli per ragioni oggettive (es. riceve una proposta di lavoro adeguatamente retribuita, anche se la rifiuta).

3. se l’obbligato perde, non per sua colpa, i propri redditi. (Cioè se viene licenziato senza propria colpa, mentre si conserva l’obbligo di corresponsione dell’assegno se l’obbligato si licenzia volontariamente).

4. se l’ex coniuge beneficiario della prestazione dell’assegno comincia una stabile convivenza more uxorio con altra persona.

5. se con procedura di modifica delle condizioni di divorzio la coppia si accorda per il pagamento dell’assegno divorzile in un unica soluzione (la possibilità di ottenere una sentenza che recepisca l’accordo sul pagamento dell’assegno divorzile in un unica soluzione non nella procedura di divorzio ma in quella successiva di modifica delle condizioni di divorzio stabilite da una precedente sentenza è stata riconosciuta da alcuni tribunali: es. -Trib. Firenze, sez. - sep. 25.01.1998-).

6. con la morte del coniuge beneficiario non essendo ereditabile dai suoi congiunti l’assegno divorzile.

7. con la morte dell’obbligato (Se muore l’obbligato al pagamento dell’assegno, può essere dovuto un assegno non divorzile ma “alimentare” a carico dell’eredità detto assegno successorio. Esso è di bassa entità e serve a consentire la sola sussistenza in vita del coniuge caduto in stato di indigenza. Le principali condizioni che consentono di riceverlo sono le seguenti:

A) il beneficiario della prestazione dell’assegno alla morte dell’obbligato doveva avere un assegno divorzile periodico,

B) non deve essersi risposato e

C) versi in stato di bisogno. Per le altre condizioni leggi l’art. art.9-bis l. 898/70).

8. Se l’obbligato chiede ed ottiene una sentenza che statuisce l’invalidità del matrimonio secondo il diritto italiano, ricorrendone i presupposti: per impedimenti (cioè il matrimonio è stato celebrato in mancanza dei requisiti richiesti dalla Legge per la sua celebrazione (artt.li 84-89 c.c.); consenso estorto con violenza (art. 122 c.c.); errore sulla persona o sulla qualità della persona (art. 122 c.c.); matrimonio simulato (art. 123 c.c.). In questo caso se la sentenza accerta l’invalidità del matrimonio, il matrimonio si considera “tamquam non esset” cioè come mai celebrato.

Non essendoci mai stato un matrimonio valido non ci sono nemmeno i presupposti per la conservazione dell’obbligo di pagare un assegno divorzile in quanto tale obbligo può sorgere solo a seguito di un matrimonio valido.

La disciplina della separazione e quella del divorzio poggiano infatti entrambe sul presupposto che ci sia o ci sia stato un matrimonio. Una volta dichiarato invalido il matrimonio, l’obbligato viene per l’effetto immediatamente sollevato da qualunque obbligo di pagare un assegno divorzile.

E’ salvo, ovviamente, anche in questo caso, l’obbligo di pagare assegni per concorrere al mantenimento dei figli. Tale obbligo infatti non trova fonte nel fatto del matrimonio ma nel fatto della genitorialità. Art.li 337 bis e seguenti.

9. Se l’obbligato chiede ed ottiene una sentenza che statuisce l’invalidità del matrimonio secondo il diritto canonico presso il Tribunale della Sacra Rota e tale sentenza viene delibata in Italia (cioè recepita da una sentenza emessa all’esito di uno specifico procedimento da un Tribunale italiano). (In questo caso se la sentenza dichiara la nullità ab origine del matrimonio, il matrimonio si considera come mai celebrato. Essendo un matrimonio valido il presupposto necessario per il pagamento dell’assegno divorzile, una volta dichiarato invalido il matrimonio, (da una sentenza di un tribunale ecclesiastico che viene delibata da un tribunale italiano) colui che è tenuto a pagare un assegno, viene per l’effetto immediatamente sollevato da tale obbligo.

E’ salvo, ovviamente, anche in questo caso l’obbligo di pagare assegni per concorrere al mantenimento dei figli. Tale obbligo infatti non trova fonte nel fatto del matrimonio ma nel fatto della genitorialità. Art.li 337 bis e seguenti.

 

CAPITOLO 6) IL PAGAMENTO DELL’ASSEGNO DIVORZILE IN UN UNICA SOLUZIONE



COS’È IL PAGAMENTO DELL’ASSEGNO DIVORZILE IN UN UNICA SOLUZIONE?

l’art.lo 5 comma 6 della legge 898/70 prevede che la coppia di divorziandi può accordarsi perchè al posto del pagamento periodico dell’assegno divorzile il coniuge più abbiente conferisca all’altro un’importante quantità di ricchezza che può consistere ad es. di una somma di denaro o della proprietà o di una quota di comproprietà su immobili.

Tale soluzione è possibile solo se sorge un accordo tra i coniugi, mentre non è consentito che il giudice la disponga d’imperio contro la volontà di uno dei due.


QUALI SONO GLI EFFETTI DEL PAGAMENTO DELL’ASSEGNO DIVORZILE IN UN UNICA SOLUZIONE?

La legge 898/70 art.lo 5 comma 6 stabilisce che il coniuge che accetta di ricevere tale pagamento non potrà più avanzare rivendicazioni patrimoniali nei confronti dell’altro coniuge.
“La corresponsione dell’assegno divorzile in unica soluzione su accordo tra le parti, soggetto a verifica giudiziale, esclude la sopravvivenza, in capo al coniuge beneficiario, di qualsiasi ulteriore diritto, a contenuto patrimoniale o meno, nei confronti dell’altro coniuge, <…> con la conseguenza che nessuna ulteriore prestazione può essere richiesta neppure per il peggioramento delle condizioni economiche dell’assegnatario” Cass. sezione VI, sentenza 12 giugno 2014, n. 13424.
La logica sottesa a tale soluzione è quella di consentire al coniuge più abbiente di liberarsi per sempre da ogni obbligo solidaristico nei confronti dell’ex coniuge che può trovare un vantaggio nel diventare proprietario di un immobile piuttosto che titolare del diritto di ricevere periodicamente una somma dall’ex coniuge.


QUANDO CONVIENE CHIEDERE UN ASSEGNO PERIODICO E QUANDO UN ASSEGNO DIVORZILE PAGATO IN UN UNICA SOLUZIONE?

Per il fatto che le nuove nozze del beneficiario di un assegno divorzile periodico fanno cessare il suo diritto a ricevere tale assegno dall’ex coniuge, (vedi sopra su questa pagina) se sono in previsione nuove nozze è evidentemente meglio ricevere il pagamento dell’assegno divorzile in un unica soluzione: in caso di nuove nozze l’assegno pagato in un unica soluzione (ad. es. con il conferimento di un appartamento) non va reso, mentre se si è optato per l’assegno periodico, con le nuove nozze quella prestazione si perde.

Per lo stesso motivo se il coniuge beneficiario (cioè colui che riceve l’assegno) ha in programma di cominciare una convivenza more uxorio con altra persona, è meglio il pagamento in un unica soluzione perchè l’attuale orientamento della giurisprudenza ricollega a tale condizione la perdita del diritto a ricevere il pagamento di un assegno divorzile periodico.

Se il coniuge più abbiente si prevede che si troverà disoccupato o comunque in crisi economica perchè ad es. l’azienda per la quale lavora è in crisi e prevede dei tagli ai posti di lavoro, è evidentemente più sicura per l’altro la soluzione del pagamento dell’assegno divorzile in un unica soluzione perchè la perdita o la riduzione dei redditi dell’obbligato consente a questi di chiedere al giudice di essere sollevato dall’obbligo di pagare l’assegno periodico, o la riduzione di questo, mentre chi ha ricevuto il pagamento dell’assegno divorzile in un unica soluzione se l’altro coniuge entra in crisi non lo deve rendere.

Viceversa se non sono in previsione né convivenze more uxorio, né nuove nozze (pensiamo ad una divorziata anziana o ad un divorziato anziano) e il coniuge più abbiente offre come pagamento dell’assegno divorzile in un unica soluzione una somma di entità modesta o una proprietà di scarso valore, è preferibile l’assegno divorzile periodico.

Infine va valutato anche il fatto che mentre l’assegno divorzile periodico da diritto sia ad una quota del TFR dell’altro coniuge, sia alla pensione di reversibilità, il pagamento dell’assegno divorzile in un unica soluzione preclude entrambe queste due possibilità.

É pertanto consigliabile fare una previsione sulla misura del TFR che il coniuge più abbiente conseguirà dopo il divorzio e sulla misura della pensione di reversibilità per valutare la vantaggiosità o meno della soluzione di pagare/ricevere l’assegno divorzile in un unica soluzione.



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