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CAPITOLO 1) COS’È IL DIVORZIO
Il divorzio è lo scioglimento del vincolo coniugale sorto con la celebrazione del matrimonio di rito civile o religioso.
CAPITOLO 2) DIFFERENZA TRA IL DIVORZIO E LA SEPARAZIONE
CHE DIFFERENZA C’È TRA LA SEPARAZIONE E IL DIVORZIO?
Mentre la separazione è una condizione che la coppia vive durante il proprio
matrimonio e pertanto i separati sono ancora marito e moglie, i divorziati non
sono più coniugi perchè il matrimonio con il divorzio cessa.
Durante la
separazione i coniugi si difiniscono infatti ancora “coniugi”, dopo il divorzio “ex coniugi”.
L’istituto della separazione, (che deve precedere obbligatoriamente il divorzio)
serve infatti a tentare di conservare il matrimonio, impedendo alla coppia di
sciogliere il vincolo coniugale (con il divorzio) sull’onda di una lite
estemporanea, obbligandola invece a meditare in modo ponderato sulle proprie
scelte per un periodo determinato di tempo. In tale periodo, grazie alla
separazione, la coppia si troverà in una condizione coattiva di serenità che
deriva dalla lontananza fisica reciproca e potrà meditare sulla causa delle liti
e decidere se riconciliarsi, rimanere separata o divorziare.
Il divorzio è invece l’atto che scioglie il vincolo coniugale di una coppia che,
dopo aver meditato sul da farsi durante la separazione, si è determinata a non
riconciliarsi ma a porre fine al matrimonio.
QUANTE PROCEDURE DI DIVORZIO ESISTONO?
Esistono 3 procedure di divorzio che presuppongono un accordo della coppia:
1. il divorzio a domanda congiunta
2. il divorzio con negoziazione assistita
3. il divorzio davanti al sindaco (o un suo delegato) in funzione di Ufficiale
delle Stato Civile
E una procedura di divorzio che prescinde dall’accordo dei coniugi:
1. il divorzio contenzioso
CAPITOLO 3) QUANDO POSSO DIVORZIARE
QUANDO POSSO DIVORZIARE?
è possibile divorziare (oltre che nei casi previsti dall’art. 3 L. 898/70,
quando vi sia stata separazione dei coniugi ininterrotta per almeno 6 mesi o 1
anno.
POSSO DIVORZIARE SUBITO, SENZA LA SEPARAZIONE?
Negli anni scorsi, quando per poter divorziare occorreva aspettare 3 anni nella
condizione di separazione, era invalso l’uso di prendere la residenza in uno
degli stati esteri la cui legislazione contempla il divorzio immediato senza la
separazione, per divorziare subito e far poi delibare in Italia la sentenza di
divorzio ottenuta immediatamente dal tribunale dello stato estero. Infatti
l’ordinamento italiano non consente di divorziare senza la separazione ma
consente di recepire la sentenza di divorzio emessa da uno stato estero.
Oggi con la riduzione del tempo della separazione da 3 anni a 6 mesi, tale
strategia non consente più alcun risparmio di tempo, occorrendo più di 9 mesi
per far delibare una sentenza di divorzio in Italia.
In Italia per poter avanzare domanda di divorzio è necessaria la separazione
ininterrotta da almeno 6 mesi se consensuale o 1 anno se giudiziale. (art.lo 3 L
898/70)
DA QUANDO DECORRE IL TERMINE DI 6 MESI/1 ANNO DALLA SEPARAZIONE PER POTER
DIVORZIARE?
Il termine non decorre dalla fine della procedura di separazione ma da
determinati momenti che si trovano all’interno delle procedure, (art.lo 3 L
898/70) In particolare:
A. 12 mesi dall'avvenuta comparizione dei coniugi innanzi al presidente del
tribunale cioè dall’udienza presidenziale nella procedura di separazione
giudiziale.
B. 6 mesi dall’udienza presidenziale nel caso di separazione consensuale, anche
quando il giudizio contenzioso si sia trasformato in consensuale, cioè è
avvenuto i c.d. mutamento di rito
C. 6 mesi dalla data dell'accordo di separazione raggiunto a seguito di
convenzione di negoziazione assistita.
D. 6 mesi dalla data dell'atto contenente l'accordo di separazione concluso innanzi all'ufficiale dello stato civile.
CAPITOLO 4) LIMITE DI EFFICACIA DELLA SENTENZA DI DIVORZIO
CAMBIA QUALCOSA SE MI SONO SPOSATA IN CHIESA O AL COMUNE?
Se la coppia ha eseguito il c.d. matrimonio concordatario, (cioè celebrato in
chiesa con il rito religioso regolarmente trascritto) vuol dire che con un unico
atto celebrativo, in base ai Patti Lateranensi, ha contratto matrimonio sia
secondo il diritto ecclesiastico vigente nello Stato della Città del Vaticano,
sia secondo il diritto italiano vigente in Italia.
Se tale coppia divorzia, si verificherà solo la dissoluzione del vincolo
coniugale riconosciuto dal diritto italiano, non quello riconosciuto dal diritto
ecclesiastico che non ammette divorzio.
Così ad es. se un cittadino si sposa in chiesa, divorzia e successivamente si
risposa (con altra persona) in Comune innanzi all’Ufficiale di stato civile,
senza aver chiesto né ottenuto l’annullamento del precedente matrimonio dai
tribunali della Sacra Rota, per il diritto ecclesiastico vigente all’interno
dello Stato del Vaticano, tale cittadino è ancora sposato con il primo coniuge.
Per il diritto italiano invece con il secondo.
Questa distinzione ha importanza perchè si traduce in due “petitum“ differenti e
alternativi della domanda di divorzio. (Il petitum è ciò che i coniugi chiedono
al tribunale di disporre).
Se i coniugi si sono sposati in chiesa e hanno celebrato un matrimonio
concordatario (sopra descritto), il loro divorzio produrrà la c.d. “cessazione
degli effetti civili del matrimonio” (cioè dei soli effetti civili, perché gli
effetti del matrimonio ecclesiastico si conservano), pertanto questo sarà il
petitum della loro domanda di divorzio.
Se invece una coppia si è sposata in Comune cioè in base al solo diritto
italiano, allora con il divorzio si avrà il c.d. “scioglimento del vincolo
coniugale” cioè dell’unico vincolo coniugale esistente giuridicamente: quello
contratto in base alla legge italiana. Questo sarà dunque il petitum dei coniugi
che si sono sposati in comune.
CAPITOLO 8) L’AFFIDAMENTO DELLA PROLE NEL DIVORZIO
A CHI VENGONO AFFIDATI I FIGLI NEL DIVORZIO?
La legge sul divorzio e quella sulla separazione non contengono una differente
disciplina dell’affidamento della prole.
Nel corpo del testo delle due leggi, quella sulla separazione e quella sul
divorzio, la disciplina sull’affidamento della prole non è nemmeno presente.
Entrambe le leggi infatti, con riferimento all’affidamento della prole,
contengono solo un rinvio (nel divorzio art.lo 6 L. 898/70, nella separazione
art.lo 155 c.c.), agli stessi articoli del codice civile (337 s.s.c.c.) che
regolano uniformemente l’affidamento della prole in caso di separazione,
divorzio, annullamento del matrimonio, e figli nati fuori del matrimonio.
Ne consegue che siccome le regole che hanno disciplinano l’affidamento dei figli
nella separazione sono le stesse che disciplinano l’affidamento dei figli nel
divorzio, in genere in assenza di novità nei rapporti personali successive alla
separazione (e cioè ad es. se la separata affidataria non si è messa a
maltrattare la prole o a trascurarla durante la separazione), nel divorzio le
condizioni di affido si conservano identiche.
Per maggiori informazioni si rimanda al capitolo nel quale è stato trattato
l’affidamento della prole nella separazione.
CAPITOLO 9) L’ASSEGNAZIONE DELLA CASA CONIUGALE
COS’È IL DIRITTO DI ASSEGNAZIONE DELLA CASA CONIUGALE?
L’assegnazione è il diritto che consente il godimento esclusivo della casa
familiare al coniuge a cui sono affidati i figli con affido esclusivo, o, nel
caso di affido condiviso o di figli maggiorenni, al coniuge con cui i figli
prevalentemente convivono, indipendentemente da chi sia dei due coniugi il
proprietario, il comproprietario, il locatario o il comodatario dell’immobile.
Godimento esclusivo significa che il coniuge non assegnatario, sebbene
proprietario, non può più entrare nella casa assegnata all’altro senza il suo
consenso.
Se il coniuge non assegnatario è proprietario pieno al 100% dell’immobile o comproprietario insieme all’altro, all’assegnatario (cioè colei/colui che ha il diritto di assegnazione) spetta il godimento gratuito dell’immobile, non dovendo pagare alcunché all’altro coniuge proprietario / comproprietario.
Se invece
l’immobile è locato o in comodato e di proprietà di un terzo, l’assegnatario
subentra nel contratto di locazione che fosse stato stipulato dall’altro coniuge
(e dovrà evidentemente pagare il canone al terzo proprietario dell’immobile se
vorrà continuare a detenere detto immobile).
L’ assegnazione della casa familiare è prevista dall’ordinamento non come
strumento per comporre i rapporti patrimoniali della coppia che si separa e
divorzia, ma principalmente per consentire di conservare le abitudini della
prole maturate nell’ambiente domestico quando la coppia si separa, nell’ipotesi
che il coniuge con cui prevalentemente la prole convive non sia proprietario
dell’immobile o titolare del contratto che è fonte del diritto di detenzione di
tale immobile.
Secondo le regole generali sulla proprietà infatti, in questo
caso, in assenza dell’assegnazione, il coniuge proprietario o titolare del
contratto che gli assicura la detenzione potrebbe allontanare l’altro e la prole
dall’immobile che detiene traumatizzando la stessa che si troverebbe a dover
cambiare casa e magari quartiere e scuola e ad interrompere le proprie
abitudini. Il diritto di assegnazione serve a risolvere questo problema.
La disciplina principale che regola tale istituto non si trova infatti né tra le
regole della separazione coniugale né principalmente tra quelle che disciplinano
il divorzio ma in uno specifico titolo del Codice Civile (titolo IX c.c., art.
337 sexies c.c.) che regola specificamente la responsabilità genitoriale in caso
di separazione, divorzio, annullamento del matrimonio, e figli nati fuori del
matrimonio.
Essendo detta disciplina uniforme, con il divorzio in genere si mantiene
l’assegnazione della casa familiare al coniuge con il quale la prole
prevalentemente convive, che è già stata stabilita durante la separazione.
A differenza della separazione la legge sul divorzio nell’art.lo 6 punto 6 L.898/70 contiene ulteriori disposizioni sul punto, introducendo anche un criterio assistenzialistico per il coniuge più debole che si affianca a quello principale della tutela degli interessi della prole per la determinazione dell’assegnatario.
Secondo l’orientamento dominante della giurisprudenza tale
favor è comunque subordinato alla presenza di figli. In assenza di figli la casa
non è assegnabile indipendentemente dalle condizioni economiche del coniuge meno
abbiente.
La conferma dell’assegnazione conseguita nella separazione, nel provvedimento
che dispone il divorzio è naturalmente subordinata alla conferma delle
condizioni di affido della prole. Immaginiamo che l’affidataria trascuri o
maltratti i figli durante la separazione, il giudice del divorzio le toglie
l’affidamento e con esso anche l’assegnazione della casa coniugale che verrà
riconosciuta, nell’esempio, all’altro coniuge che diventa affidatario (della
prole) e assegnatario (della casa familiare).
COME SI COSTITUISCE IL DIRITTO DI ASSEGNAZIONE DELLA CASA CONIUGALE?
Tale diritto può essere costituito attraverso le procedure consensuali o
giudiziali di separazione, di divorzio, di annullamento del matrimonio, o della
procedura di separazione di coppie non sposate che hanno figli (quindi nati
fuori dal matrimonio).
Per maggiori informazioni si rimanda al capitolo nel quale è stata trattata
l’assegnazione della casa coniugale nella separazione.
CAPITOLO 10) IL DIRITTO AD UNA QUOTA DEL TRATTAMENTO DI FINE RAPPORTO PERCEPITO DALL’ALTRO CONIUGE
COS’É IL T.F.R.?
Il T.F.R. è l’acronimo di “Trattamento di Fine Rapporto”.
Esso si sostanzia in
una importante corresponsione di denaro, erogata “una tantum” (cioè solo una
volta), che il datore di lavoro è tenuto ad erogare, per legge, al lavoratore
nel momento della cessazione del rapporto di lavoro.
SE DIVORZIO HO DIRITTO AD UNA QUOTA DEL TFR DEL MIO CONIUGE QUANDO EGLI VA IN
PENSIONE?
Il Trattamento di Fine Rapporto conseguito da un coniuge in costanza di
matrimonio non spetta all’altro.
Nel caso in cui il T.F.R. sia conseguito da un coniuge dopo la separazione, ma
prima della proposizione della domanda di divorzio, tale corresponsione che il
coniuge riceve a titolo di TFR non spetta all’altro coniuge, esattamente come in
costanza di matrimonio, in nessuna misura.
Nel caso in cui il T.F.R. sia conseguito da un coniuge dopo la poposizione della
domanda di divorizo può spettare invece all’altro, se ricorrono le seguenti
circostanze:
1. la domanda di divorzio deve aver preceduto il pensionamento del coniuge che
consegue il TFR, non importa se la sentenza che conclude la procedura di
divorzio, introdotta con la detta domanda, sia successiva.
2. l’altro ex coniuge deve essere titolare di un assegno divorzile periodico a
carico del coniuge che consegue il TFR;
3. l’altro ex coniuge (quello che non consegue il T.F.R.) non deve essere
passato a nuove nozze.
_______
La ratio fondante il diritto a ricevere una quota del TFR è la seguente:
Gli art.li 143 e 148 del Codice Civile introdotti dalla riforma del diritto di
famiglia nel ’75 equiparano esplicitamente il lavoro casalingo a quello
professionale.
Il coniuge che esegue un lavoro professionale ha potuto dedicarsi a fare
carriera solo perché l’altro, in genere la moglie casalinga, gli lavava i panni
sporchi, stirava, gli faceva la spesa, gli faceva da mangiare, lavava i panni
sporchi dei figli, cucinava per loro, tutti i giorni, spazzava per terra, puliva
il bagno e la cucina, portava i figli al parco etc..
Se questo lavoro non fosse stato compiuto, il coniuge che esegue un lavoro
professionale, nell’esempio il marito, non avrebbe potuto, per motivi di tempo,
dedicarsi alla carriera retribuita.
La ricchezza ricevuta sotto forma di redditi dal coniuge che esegue il lavoro
professionale è pertanto frutto di un processo complesso che integra
necessariamente le attività compiute dall’altro.
Questo è il motivo per cui la Legge prevede che, ricorrendone le condizioni, il
TFR (che è una corresponsione legata al reddito da lavoro professionale)
conseguito da uno dei due coniugi va diviso con l’altro: la ricchezza che riceve
il lavoratore professionale a titolo di TFR non l’ha prodotta da solo, contiene
quella prodotta dall’altro.
QUANTO MI SPETTA DEL TFR DI MIO MARITO?
l’art. 12 bis della Legge n. 898/1970 stabilisce che il coniuge divorziato,
qualora sia titolare di un assegno divorzile e se non passato a nuove nozze, ha
diritto ad ottenere una quota pari al 40% dell'indennità di fine rapporto -c.d.
TFR- conseguita dall’altro ex coniuge, rapportata alla coincidenza del tempo del
matrimonio con quello del rapporto di lavoro che ha fruttato il TFR.
Così ad es. se il coniuge obbligato a pagare l’assegno di mantenimento ha
cominciato a lavorare nel 2000 e si è sposato nel 2000, ha divorziato nel 2020
ed ha conseguito il trattamento di fine rapporto nel 2020, il beneficiario
dell’assegno periodico divorzile ha diritto al 40% del TFR conseguito
dall’obbligato perchè il tempo del matrimonio coincide del tutto con quello del
rapporto di lavoro. Se invece gli stessi coniugi hanno divorziato nel 2010, al
beneficiario dell’assegno divorzile spetterà il 50% del 40% del TFR cioè solo il
20% perchè il tempo del matrimonio 2000-2010 nell’esempio, è la metà di quello
2000-2020 del rapporto di lavoro.
Se il coniuge divorziato ha conseguito un assegno divorzile in un unica
soluzione non ha diritto al TFR dell’altro coniuge in nessuna misura, poiché
tale soluzione comporta la rinuncia a qualunque ulteriore pretesa di carattere
economico nei confronti dell’ex coniuge più abbiente.
CAPITOLO 11) IL DIRITTO ALLA PENSIONE DI REVERSIBILITÀ
DA DIVORZIATA HO DIRITTO ALLA PENSIONE DI REVERSIBILITÀ
SE IL MIO EX CONIUGE MUORE?
L’art. 9 della Legge n. 898/1970, prevede che il coniuge divorziato,
1. se beneficiario di un assegno divorzile periodico e
2. se non passato a nuove nozze,
in caso di morte dell'ex coniuge, ha diritto a percepire, (da solo o in concorso
con eventuali altri coniugi sposati dal de cuius dopo il divorzio) la pensione
(di reversibilità) del de cuius o una sua quota.
Se l’ex coniuge deceduto non si era risposato, il divorziato superstite non
risposato (che godeva di un assegno divorzile periodico) ha diritto all’intera
pensione di reversibilità, altrimenti ad una parte di questa, proporzionale alla
durata del proprio matrimonio rispetto a quella del matrimonio degli altri
coniugi successivi del de cuius.
c’è un ulteriore condizione: il rapporto di lavoro da cui trae origine il
trattamento pensionistico deve essere anteriore alla sentenza di divorzio.
CAPITOLO 12) I DIRITTI SUCCESSORI NEL DIVORZIO
SE DIVORZIO, CONSERVO I DIRITTI SUCCESSORI?
No. Con il divorzio si perdono del tutto i diritti successori (cioè il diritto
di ereditare parte dei beni del (ex) coniuge) che spettano invece ai coniugi
sposati e ai coniugi separati senza addebito (art.lo 585 c.c.).
Infatti, nell’elenco dei successibili, cioè coloro ai quali la legge stessa
attribuisce la qualità dei eredi nel caso in cui il de cuius non abbia fatto
testamento (c.d. successione ab intestato) non c’è l’ex coniuge divorziato
(art.lo 565 c.c.), né tantomeno l’ex coniuge divorziato è presente nell’elenco
dei legittimari. cioè di coloro (tra cui moglie e figli) cui è assicurata dalla
legge una quota dell’eredità della quale il testatore non può disporre a favore
di terzi) art.lo 536 c.c.. Leggi perché una quota dell’eredità è riservata alla
moglie e ai figli.
Naturalmente il testatore (cioè colui che fa testamento) ben può, se lo vuole,
lasciare una parte dell’eredità all’ex coniuge, ma non è obbligato.
SE DIVORZIO, I MIEI FIGLI CONSERVANO I DIRITTI SUCCESSORI?
Si. i figli conservano esattamente gli stessi diritti successori nei confronti
di entrambi i genitori indipendentemente dal fatto che questi si separino o
divorzino. I figli sono protetti dalla legge che riserva loro una quota
dell’eredità che il testatore non può disporre che sia trasferita a terzi. Per
fare un esempio, il genitore non può lasciare per testamento tutti i propri
averi da un’amante. Se lo fa, quel testamento è nullo nella misura in cui vìola
la quota riservata obbligatoriamente ai figli (vedi anche paragrafo precedente).
SE DOPO IL DIVORZIO, UNO DEGLI EX CONIUGI GENERA ALTRI FIGLI, (DA UN ALTRO
MATRIMONIO O NATURALI), CHE DIRITTI SUCCESSORI HANNO QUESTI ULTIMI?
La legge non fa distinzione tra figli legittimi o naturali, né tra quelli nati
dal primo matrimonio o da eventuali matrimoni successivi, i diritti dei figli
sono sempre equiparati. Pertanto se un coniuge dopo il divorzio si risposa e
genera altri figli, questi ultimi concorreranno con pari diritti con i figli del
primo matrimonio sull’asse ereditario del genitore.
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