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CAPITOLO 1) COS'E' LA
SEPARAZIONE DEI CONIUGI
La separazione è lo strumento che l’ordinamento ha messo a disposizione dei
coniugi per risolvere il problema delle liti che dovessero sorgere durante il
matrimonio.
Il matrimonio obbliga i coniugi alla “convivenza” (art.lo 143 c.c.).
Se durante il matrimonio “si verificano fatti tali da rendere intollerabile la
prosecuzione della convivenza o da recare grave pregiudizio alla educazione
della prole” (art.lo 151 c.c.), tale obbligo di convivenza può essere rimosso
con la separazione, che legittima i coniugi ad allontanarsi l’uno dall’altro.
Allo scopo di impedire il prosieguo delle liti, la
legge sulla separazione prevede venga disposta:
1. la separazione fisica obbligatoria dei coniugi mediante l’allontanamento
coattivo di un coniuge dall’altro (ordinato dal giudice nella separazione
giudiziale o obbligatoriamente previsto dalla parti stesse nella consensuale) e
2. la realizzazione di una disciplina scritta cogente dei rapporti personali
(es. con chi stanno i figli, quando) e patrimoniali (es. chi paga, cosa) dei
coniugi che li sollevi dall’onere di dover quotidianamente trovare un accodo su
tali rapporti in un momento in cui, per il fatto delle liti, non sono più in
grado di farlo.
Poiché per legge i patti scritti, che contengono la disciplina dei rapporti
della coppia successivi alla separazione devono essere rispettati sotto pena di
severe sanzioni, una volta stabiliti, ad entrambi i coniugi basterà pretendere
il rispetto di quei patti, se necessario con azione giudiziale, per non dover
più litigare sui rapporti da essi regolati.
POSSO DIVORZIARE DIRETTAMENTE SENZA PRIMA SEPARARMI ?
Questo è possibile solo prendendo la residenza in uno stato straniero ove la
legge consente il divorzio immediato e non contempla la separazione e facendo
poi delibare in Italia la sentenza di divorzio ottenuta presso il tribunale
dello stato estero.
La legge italiana infatti non consente di divorziare senza prima aver eseguito
la separazione, ma ammette la delibazione (cioè il recepimento da un tribunale
Italiano) della sentenza di divorzio emessa da un tribunale straniero.
Fino al 2015 tale pratica era usata di sovente, perché la legge italiana prevedeva che prima di poter divorziare, la coppia dovesse, dopo essersi separata, rimanere nella condizione di separazione per almeno 3 anni, per cui tale strategia consentiva di ottenere il divorzio e di potersi risposare in un tempo più breve.
Oggi una nuova legge italiana ha ridotto tale termine a 6 mesi
(se la separazione è stata di natura consensuale o 1 anno se la separazione è
stata di natura giudiziale), pertanto siccome occorre comunque del tempo per
fare delibare le sentenze straniere di divorzio in Italia (circa 9-12 mesi) non
è più conveniente oggi eseguire la procedura descritta in uno stato estero allo
scopo di ridurre i tempi per ottenere il divorzio.
PERCHÉ LA LEGGE ITALIANA PREVEDE LA SEPARAZIONE PRELIMINARE OBBLIGATORIA E NON
CONSENTE IL DIVORZIO IMMEDIATO?
Lo strumento della separazione è stato studiato dal legislatore per tentare di
conservare il matrimonio.
Come si legge nei lavori preparatori della riforma del diritto di famiglia, è
interesse della prole crescere in un ambiente familiare sereno ed unito. Il
legislatore, con la separazione, intende pertanto proteggere la prole non solo
dall’incidenza delle liti dei genitori sull’educazione della prole, ma, se
possibile, anche dallo scioglimento del vincolo coniugale dei genitori.
Per tentare di conservare il matrimonio, per gli scopi detti, l’ordinamento
vieta ai coniugi di sciogliere il vincolo coniugale sull’onda di una lite
estemporanea, immediatamente, con il divorzio.
Per contro obbligare i coniugi a rimanere uniti in un momento nel quale “si
verificano fatti tali da rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza”
potrebbe fare inasprire le liti ed aggravare i problemi appena descritti.
La soluzione è stata rinvenuta dal legislatore nell’obbligare i coniugi,
nell’ipotesi sopra descritta, a rimanere sposati ma separati, (i separati sono
infatti marito e moglie) per un periodo di tempo prima di consentire loro, se lo
desiderano, di sciogliere il vincolo coniugale.
Durante il tempo della separazione i coniugi, essendo lontani l’uno dall’altra,
non possono continuare le liti e per l’effetto si trovano in una condizione di
tranquillità che consente loro di meditare serenamente sul da farsi: divorziare,
riconciliarsi, o (anche rimanere separati per meditare sul da farsi per un tempo
maggiore).
Lo scopo fondamentale dell’istituto della separazione è dunque duplice: non far degenerare le liti con effetti dannosi a carico della prole e indurre la coppia in una condizione di tranquillità perché possa meditare serenamente, in modo che la decisione sull’eventuale divorzio sia ponderata e non derivi da una lite estemporanea, giacché questa seconda eventualità incide negativamente sull’interesse della prole a crescere in un ambiente familiare unito.
Con lo
strumento della separazione dunque il legislatore protegge la prole sia dalla
liti sia dall’ipotesi di una inutile e non ponderata dispersione della famiglia.
COME SI FA LA SEPARAZIONE?
Ci sono vari tipi di separazione.
È prevista una procedura differente per ogni
tipo di separazione.
In via generica, per la separazione di fatto è necessario solo l’accordo dei
coniugi, mentre per tutti gli altri tipi di separazione è necessario domandare
alla Pubblica Autorità l’emissione di un provvedimento che la disponga.
Tutti i provvedimenti emessi dalla Pubblica Amministrazione nell’ambito delle
diverse procedure, pur essendo differenti perché emessi da diversi istituti
(Tribunale, Casa Comunale etc.) hanno i medesimi effetti giuridici.
Fondamentalmente quando i coniugi riescono, anche con l’aiuto dei propri legali,
a negoziare e accordarsi sulla disciplina dei propri rapporti personali e
patrimoniali successivi alla separazione, possono accedere ai riti di
separazione consensuale, quando non ci riescono, su istanza di uno dei due,
decide tale disciplina il giudice, d’imperio, al posto dei coniugi che non si
sono accordati.
QUALI SONO LE PROCEDURE DI SEPARAZIONE?
Ci sono due tipi generici di separazione personale dei coniugi:
1) la separazione consensuale (che presuppone necessariamente l’accordo delle
parti) e
2) la separazione giudiziale (che prescinde dall’accordo dei coniugi)
la separazione consensuale è di 5 tipi specifici:
1) la separazione di fatto;
2) la separazione su istanza di parte;
3) la separazione su istanza di entrambi i coniugi,
4) la separazione con la negoziazione assistita,
5) la separazione davanti agli Uffici del Comune
la separazione giudiziale ed è di 1 solo tipo.
QUALE È LA DIFFERENZA TRA LA SEPARAZIONE E IL DIVORZIO?
La separazione è una condizione che la coppia conosce all’interno del proprio
matrimonio.
I separati sono infatti ancora marito e moglie e non possono risposarsi (se lo facessero commetterebbero il reato di bigamia).
Il divorzio
invece scioglie il vincolo coniugale e consente alla coppia di risposarsi.
QUALI SONO GLI EFFETTI DELLA SEPARAZIONE?
1. Si può divorziare dopo 6 mesi (se la separazione è eseguita con rito
consensuale) o 1 anno (se eseguita con procedura giudiziale).
2. muta ope legis il regime patrimoniale della famiglia da quello della
comunione dei beni a quello della separazione dei beni, onde, dopo la
separazione, se un coniuge acquista un bene ne conseguirà la proprietà al 100% e
non più al 50%. (Durante il regime di comunione dei beni infatti la proprietà di
un acquisto eseguito da un coniuge singolarmente viene trasferita ope legis
all’altro al 50%).
3. viene assegnata la casa coniugale
4. viene prevista la disciplina di affidamento della prole
5. sono previsti assegni di mantenimento a favore del coniuge più debole
economicamente a cui non sia stata addebitata la separazione.
6. durante la separazione il matrimonio si conserva e la coppia può decidere in
qualunque momento di far cessare la separazione con la riconciliazione. (i
separati sono ancora marito e moglie poiché la separazione è una condizione del
matrimonio, che si verifica cioè durante il matrimonio, I divorziati invece non
sono più coniugi perchè il matrimonio con il divorzio cessa).
CAPITOLO 2) LA CASA CONIUGALE. ASSEGNAZIONE
DELLA CASA CONIUGALE
POSSO ANDARE VIA DI CASA SENZA LA SEPARAZIONE?
No. Tale condotta (salvo il caso di forza maggiore o del verificarsi di episodi
di violenza domestica) integra la fattispecie di un illecito civile.
Come detto, durante il matrimonio i coniugi sono obbligati alla “convivenza” (art.lo 143 c.c.).
Siccome l’abbandono del tetto coniugale non è più reato, tale
condotta è oggi irrilevante per la legge penale, ma è rilevante per la legge
civile: se un coniuge si allontana contro la volontà dall’altro, senza avere
effettuato la separazione, commette un illecito civile punito con la perdita del
diritto di ricevere un assegno di mantenimento e con la perdita dei diritti
successori nei confronti dell’altro coniuge.
POSSO CACCIARE DI CASA L’ALTRO CONIUGE SE L’APPARTAMENTO È MIO?
No. Tale condotta integra la fattispecie del reato di violenza privata, Così
come cambiare la serratura per impedirgli dei rientrare e ciò anche se si ha la
proprietà al 100% dell’immobile adibito a casa familiare.
Con la separazione
invece il giudice stesso ordinerà ad uno dei due coniugi di allontanarsi dalla
casa coniugale per realizzare il fatto della separazione.
E’ POSSIBILE RIMANERE IN CASA, INSIEME ALL’ALTRO CONIUGE,
DOPO LA SEPARAZIONE, PER MOTIVI ECONOMICI SE NON SI HA
LA DISPONIBILITÀ DI UN ALTRO APPARTAMENTO?
No. Lo scopo della separazione è quello di tutelare la prole dalle liti dei
genitori e tentare di conservare il matrimonio, in quanto possibile,
nell’interesse della prole, essendo pregiudizievoli per la prole stessa le
conseguenze del fatto della separazione dei genitori.
Pertanto il giudice non può disporre lo status di separati e nel contempo la prosecuzione della convivenza nello stesso appartamento.
Lo scopo fondamentale dell’istituto della
separazione verrebbe frustrato.
CHI DEVE ANDARSENE DALLA CASA CONIUGALE?
per realizzare il fatto della separazione, è previsto che il giudice, nella
separazione giudiziale, ordini ad uno dei due coniugi di allontanarsi dalla casa
coniugale entro un certo termine, mentre nella procedure di separazione
consensuale la coppia stessa deve prevedere tale soluzione.
La scelta del coniuge che rimarrà nella casa coniugale e quello che dovrà andarsene non è rimessa la mero arbitrio dei coniugi, ma è determinata dalla legge: L’art.lo 337 sexies c.c. stabilisce che “il godimento della casa familiare è attribuito tenendo prioritariamente conto dell'interesse dei figli”.
Tale articolo viene interpretato dagli Organi Giurisdizionali nel senso che l’interesse dei figli sia quello di conservare le abitudini maturate dagli stessi nell’ambiente domestico per evitargli il trauma che deriverebbe loro dal dover cambiare abitazione e magari quartiere e scuola a seguito della separazione dei genitori. Poiché la prole ha diritto di rimanere nella casa coniugale per il motivo appena esposto, ne deriva che il genitore che è stabilito che passerà un tempo maggiore con la prole rispetto all’altro ha diritto di rimanere con essa nella casa coniugale, mentre l’altro se ne dovrà allontanare.
Pertanto, dopo aver
individuato tale genitore sulla base della misura scelta (dal giudice nella
separazione di rito giudiziale e dalla coppia stessa nella separazione di rito
consensuale) del tempo di permanenza della prole presso ciascun genitore, si
dovrà prevedere che il genitore con il quale la prole passerà un tempo maggiore
rimarrà nella casa coniugale e che l’altro dovrà allontanarsene entro un certo
temine (fissato dalla giurisprudenza in una misura compresa tra i 30 e i 90
giorni).
Se la casa non è di proprietà piena del coniuge con cui la prole passerà un tempo maggiore ma è in comproprietà con l’altro o è di proprietà dell’altro o è in locazione o in comodato, il giudice (o la coppia stessa nella procedura consensuale) costituisce un diritto di assegnazione della casa coniugale a favore del coniuge presso il quale la prole è collocata prevalentemente.
Il
diritto di assegnazione consente al titolare di tale diritto (c.d. assegnatario)
di vivere gratuitamente nella casa coniugale, senza pagare niente all’altro,
anche se, come detto, la casa fosse interamente di proprietà dell’altro coniuge.
Se la casa non è di proprietà dei coniugi o di uno dei due ma è di proprietà di un terzo e i coniugi hanno un diritto di detenzione della stessa che trova fonte in un contratto di locazione intestato al coniuge non assegnatario, il coniuge assegnatario subentra di diritto in quel contratto, assumendo il ruolo di contraente.
In questo caso potrà vivere in quella casa pagando il canone al
terzo proprietario, mentre l’altro coniuge che aveva stipulato il contratto di
locazione, dovrà lasciare l’appartamento.
POSSO CHIEDERE IN ASSENZA DI FIGLI L’ASSEGNAZIONE DELLA CASA CONIUGALE SE SONO
ECONOMICAMENTE PIÙ DEBOLE E NON SO DOVE ANDARE DOPO LA SEPARAZIONE?
la giurisprudenza dominante sul punto afferma che:
“L'assegnazione della casa coniugale non può costituire una misura assistenziale
per il coniuge economicamente più debole, ma postula l'affidamento dei figli
minori o la convivenza con i figli maggiorenni non ancora autosufficienti” Cass.
n. 19193 del 28.09.2015; Cass. civ., Sez. I, 1/08/2013, n. 18840.
Dunque la casa non è assegnabile in assenza di figli. (C’è una giurisprudenza
minoritaria risalente contraria).
Il problema di procurare un abitazione al coniuge meno abbiente viene risolto
con lo strumento dell’assegno di mantenimento.
POSSO CHIEDERE L’ASSEGNAZIONE A MIO FAVORE DI UN ALTRA CASA,
SEMPRE DI PROPRIETÀ DEL MIO CONIUGE, ANZICHÉ DI QUELLA DOVE VIVIAMO?
No. La ratio fondante l’Istituto dell’assegnazione della casa coniugale è quello
di soddisfare la necessità della conservazione delle abitudini maturate dalla
prole nella casa coniugale.
Pertanto non è possibile chiedere l’assegnazione di
un altra casa dove i bambini non vivono.
QUANTO DURA IL DIRITTO DI ASSEGNAZIONE?
Il diritto di assegnazione sulla casa coniugale si conserva fintato che la prole
la abbandoni spontaneamente o raggiunga un età tale (la legge non la definisce
con una cifra, la giurisprudenza la individua attorno ai 32 anni), da conseguire
condizioni oggettive che anche solo in astratto consentano alla prole di
procurarsi adeguati redditi propri e di allontanarsi dalla casa coniugale.
Anche solo in astratto significa che il genitore assegnatario perde il diritto di assegnazione quando la prole collocata prevalentemente presso di lui ha raggiunto circa i 32 anni, anche se nel concreto i figli non hanno ancora adeguati redditi propri.
Dunque alla prole non è consentito di scegliere di non
lavorare e di farsi mantenere dai genitori dopo i 32 anni e di rimanere nella
casa coniugale.
L’assegnazione non è un diritto che si sostituisce alla proprietà che l’altro coniuge abbia dell’appartamento, ma è un diritto che “comprime” la proprietà stessa la quale si conserva in capo al coniuge proprietario.
Quando la prole abbandona spontaneamente la casa coniugale o raggiunge circa i 32 anni, il coniuge proprietario può chiedere al giudice la rimozione del diritto di assegnazione goduto dall’altro coniuge per far riespandere il proprio diritto di proprietà “compresso dall’assegnazione” allo scopo di poterlo esercitare.
Il diritto di proprietà consente al proprietario di “godere in modo pieno ed esclusivo della cosa” (art.lo 832 c.c.), pertanto dopo che l’assegnatario ha perso tale diritto per i motivi sopra esposti, il proprietario esclusivo può allontanarlo dalla propria casa.
Se i coniugi sono comproprietari, dopo la
rimozione del diritto di assegnazione, ciascuno dei due può procedere, anche
contro al volontà dell’altro, alla divisione giudiziale dell’immobile cioè alla
vendita alle aste pubbliche dello stesso per conseguire la divisione del
ricavato.
Il diritto di assegnazione viene invece meno immediatamente se il coniuge
assegnatario: (art. 337 sexies c.c.)
1. non abiti o cessi di abitare per sua scelta stabilmente nella casa familiare
o
2. conviva more uxorio in essa con altro partner durante la separazione dal
coniuge (o anche dopo il divorzio) o
3. contragga nuovo matrimonio.
Il provvedimento di assegnazione e quello di revoca sono trascrivibili e
opponibili a terzi ai sensi dell'articolo 2643 c.c.. Pertanto se anche il
coniuge non assegnatario e proprietario dell’immobile vende a terzi tale
immobile, il terzo acquirente è obbligato -se l’assegnazione è trascritta nei
pubblici registri immobiliari- a consentire il godimento gratuito della casa al
coniuge all’assegnatario per la durata dell’assegnazione.
CAPITOLO 3) AFFIDAMENTO DELLA PROLE
A CHI VIENE AFFIDATA LA PROLE IN CASO DI SEPARAZIONE DEI CONIUGI?
Dal 1975 al 2006 La prole veniva affidata al coniuge più meritevole del fatto
dell’affidamento, che il giudice individuava nella misura del 93% dei casi nella
persona della madre.
Ciò perché esiste una letteratura scientifica che afferma che la madre è il genitore più naturalmente disposto alla cura dei figli.
All’altro coniuge veniva riconosciuto il cosiddetto diritto di visita, cioè la facoltà di vedere e tenere con se la prole per un periodo di tempo determinato, che in genere corrispondeva a poche ore durante la settimana.
Tra il ‘75 ed il 2006 si è notato che la prole di una coppia separata tendeva a formare un carattere che appariva essere una clonazione di quello del coniuge affidatario esclusivo.
In sostanza se la prole osservava solo le reazioni del coniuge affidatario esclusivo (con il quale passava la quasi totalità del tempo) ai casi della vita, finiva per riprodurre le stesse reazioni. Pertanto il legislatore nel 2006 ho riformato il diritto di famiglia stabilendo che la prole ha essa stessa diritto a “mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori” (art.lo 337 ter c.c.) in modo da evitarle il problema sopra descritto.
Oggi il regime di affido prevalente è infatti l’affido condiviso che
prevede, inter alia, la collocazione della prole presso ciascuno dei genitori
per un tempo tendenzialmente di pari entità. (Nella prassi, per evitare al
minore una interruzione drastica delle proprie abitudini, il tempo di permanenza
della prole presso ciascun genitore non viene mai diviso in periodi di entità
esattamente uguale ma viene ancora individuato il c.d. genitore collocatario
prevalente, cioè un genitore che passa più tempo dell’altro con la prole, anche
se la divergenza tra il tempo che la prole passa con l’uno e l’altro dei
genitori è drasticamente ridotta rispetto al periodo precedente la riforma).
È rimasta nella nuova disciplina la previsione dell’affido esclusivo che il giudice dispone quando rileva che uno dei due coniugi presenta caratteristiche che sconsiglierebbero la disposizione dell’affido condiviso.
Si pensi ad es. al
caso in cui uno dei due coniugi è tossicodipendente o alcolizzato, con pendenze
penali o problemi psicologici. In questo caso la prole verrebbe affidata
esclusivamente all’altro.
AFFIDO CONDIVISO E AFFIDO ESCLUSIVO
come detto, il regime di affido preferito dal legislatore è dal 2006 quello
condiviso, mentre è ancora prevista la possibilità di disporre quello esclusivo
a favore di un solo genitore per motivi particolari (se l’altro genitore è
alcolista, tossicodipendente, maltratta i figli, ha pendenze penali, problemi
psicologici etc.).
Affido condiviso significa che la “potestà” oggi “responsabilità” genitoriale viene esercitata da entrambi con pari poteri. Con l’affido condiviso le decisioni di maggior interesse vengono perse dai genitori di comune accordo, altrimenti dal giudice.
Nella previgente disciplina era
invece previsto che “il coniuge a cui sono affidati i figli (affido esclusivo)
ha la potestà esclusiva su di essi” art. lo 155 co. 3 c.c. previgente normativa.
Il regime di affido quindi determina i poteri dei coniugi in ordine alle
decisioni relative alla cura degli interessi della prole.
Con l’affido condiviso i poteri sono di pari entità, con l’esclusivo spettano al
coniuge esclusivamente affidatario della prole.
POSSO AVERE L’AFFIDAMENTO DEI FIGLI SE NON HO RISORSE PER MANTENERLI?
Si. Per il fatto che il giudice può spostare le risorse familiari da un coniuge
all’altro con lo strumento degli assegni di mantenimento e dell’assegnazione
della casa coniugale, il patrimonio e le facoltà reddituali di un coniuge non
reagiscono in alcun modo sulla individuazione operata dal giudice della persona
meritevole dell’affidamento della prole.
Addirittura, sotto la previgente disciplina, la prole veniva quasi sempre affidata al coniuge (la madre) che ha in genere meno risorse proprie per mantenerla.
Anche oggi la redditualità dei coniugi non ha rilievo nella determinazione del regime di affido né nell’individuazione dei coniugi o del coniuge meritevole dell’affidamento.
Se il
coniuge affidatario è il meno abbiente, come detto, il giudice gli assicura
adeguate risorse, ponendo a carico dell’altro genitore un assegno di
mantenimento e ove ne ricorrano i presupposti, assegnando allo stesso la casa
coniugale.
POSSONO DECIDERE I FIGLI CON QUALE GENITORE VOGLIONO VIVERE?
I figli minorenni non hanno la capacità di agire e non possono vincolare il
giudice ad emettere un provvedimento che rispetti i loro desideri.
Si pensi al caso di una madre casalinga onesta ed integerrima e di un padre ricco narcotrafficante che compra ai figli il motorino, il telefonino top di gamma e costosi regali di ogni tipo. Se i figli fossero interrogati dal giudice circa il genitore con il quale volessero vivere, probabilmente chiederebbero di essere affidati al padre, per assicurarsi i costosi regali che offre loro. In questo caso ovviamente il giudice affiderebbe invece i figli esclusivamente alla madre, cioè disporrebbe –nel loro interesse- esattamente il contrario della volontà espressa dai figli al giudice.
Quantunque la prole minorenne non abbia la possibilità di decidere sul proprio affidamento viene ascoltata dal giudice se maggiore di anni 12 ed anche i figli infra dodicenni possono essere ascoltati dal giudice se “capaci di discernimento”.
Lo scopo di questa audizione è
l’assunzione di informazioni per determinare l’affido, non essendo vincolanti,
come appena detto,per il giudice i desideri della prole minorenne.
Con la maggiore età i figli possono decidere autonomamente cosa fare, anche abbandonare la casa di entrambi i genitori.
Se entrambi i genitori separati
vogliono accoglierli nella propria abitazione la prole stessa maggiorenne può
decidere con quale dei due genitori vivere.
POSSO DISATTENDERE IL PROVVEDIMENTO DEL TRIBUNALE SULL’AFFIDO DEI FIGLI ?
Il provvedimento del tribunale o quello che conclude la separazione con
negoziazione assistita detta anche regole, che i coniugi sono obbligati a
rispettare, sulla gestione dei figli.
La funzione di tale provvedimento è infatti anche quella di sollevare i coniugi
dalla necessità di accordarsi quotidianamente sulla gestione dei figli in un
momento in cui, per il fatto delle liti, non sono più in grado di farlo.
Il provvedimento si sostituisce ai coniugi nel determinare chi prende i figli, quando, la misura del contributo economico al loro mantenimento etc., per evitare che i coniugi possano continuare le liti a causa del disaccordo su tali punti.
Evidentemente, se il rispetto del contenuto del provvedimento non fosse
obbligatorio, perderebbe del tutto lo scopo per cui è previsto dall’ordinamento.
Proprio perché il provvedimento serve, inter alia, a risolvere il problema del disaccordo sulla gestione dei figli, la Legge prevede che ove invece i coniugi riescano ad accordarsi su tale gestione, gli stessi possano derogare al contenuto del provvedimento (limitatamente alla disciplina dei rapporti personali, non a quella dei rapporti patrimoniali).
Ad es., se il provvedimento prevede che il padre debba vedere e tenere con se i figli il giovedì, è ammesso che i coniugi di comune accordo stabiliscano che invece li prenda il venerdì.
Se
l’accordo viene meno, deve invece essere rispettato il dettato del provvedimento
perché questo possa esplicare la sua funzione sopra descritta.
COSA SUCCEDE SE UN CONIUGE NON RISPETTA IL PROVVEDIMENTO DEL TRIBUNALE ?
Vedi qui i rimedi previsti dall’ordinamento nel caso in cui un coniuge si renda
inadempiente agli obblighi che trovano fonte nel provvedimento di separazione
consensuale (ottenuta in tribunale o per il tramite della negoziazione assistita
o eseguita davanti al sindaco) o giudiziale.
(Inter alia se un coniuge non rispetta la disciplina dei rapporti personali in assenza del consenso dell’altro, può essere denunciato penalmente e può essere condannato ad una multa da 75 a 5000 €, salvo il risarcimento del danno all’altro coniuge. Così ad es. se il provvedimento prevede che i figli debbano essere presi e tenuti dal padre il giovedì, la madre per quel giorno può evidentemente organizzare il proprio lavoro o il proprio tempo libero.
Se il
padre non si presenta per prendere i bambini, la madre perde un opportunità
lavorativa o ricreativa subendo un danno che il marito è tenuto risarcire).
POSSO CHIEDERE LA MODIFICA DELLE CONDIZIONI DI AFFIDO DEI FIGLI STABILITE PER
ACCORDO CON L’ALTRO CONIUGE O DAL GIUDICE DOPO LA CONCLUSIONE DELLA SEPARAZIONE?
si è sempre possibile chiedere al tribunale di modificare d’imperio le
condizioni di affido dei figli (o domandare consensualmente che sia disposta
tale modifica) sia che queste siano state stabilite per accordo dei coniugi
nella separazione consensuale o decise dal giudice nella separazione giudiziale
e ciò un numero illimitato di volte.
Se manca l’accordo delle parti sulla modificazione del regime di affido e tale modificazione viene chiesta contro la volontà dell’altro genitore in un giudizio contenzioso, la domanda di modifica delle condizioni di affido è consentita solo se, successivamente all’emissione dell’ultimo provvedimento, siano intervenute delle novità, ad es. un genitore si è masso a maltrattare i figli o li trascura.
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