ed
applicato,
quale
condizione
negativa
del
diritto
all’assegno
di
divorzio,
in
una
situazione
giuridica
che,
invece,
è
connotata
dalla
perdita
definitiva
dello
status
di
coniuge
–
quindi,
dalla
piena
riacquisizione
dello
status
individuale
di
“persona
singola”
–
e
dalla
mancanza
di
una
garanzia
costituzionale
specifica
volta
all’assistenza
dell’ex
coniuge
come
tale.
Né
varrebbe
obiettare
che
l’art.
337-ter,
quarto
comma,
n.
2,
cod.
civ.
(corrispondente
all’art.
155,
quarto
comma,
n.
2,
cod.
civ.,
nel
testo
sostituito
dall’art.
1,
comma
1,
della
citata
legge
n.
54
del
2006)
fa
riferimento
al
«tenore
di
vita
goduto
dal
figlio
in
costanza
di
convivenza
con
entrambi
i
genitori»:
tale
parametro
si
riferisce
esclusivamente
al
figlio
minorenne
e
ai
criteri
per
la
determinazione
(“quantificazione”)
del
contributo
di
“mantenimento”,
inteso
lato
sensu,
a
garanzia
della
stabilità
e
della
continuità
dello
status
filiationis,
indipendentemente
dalle
vicende
matrimoniali
dei
genitori.
In
terzo
luogo,
a
ben
vedere,
anche
la
ratio
dell’art.
337-
septies,
primo
comma,
cod.
civ.
–
come
pure
quella
dell’art.
5,
comma
6,
della
legge
n.
898
del
1970,
alla
luce
di
quanto
già
osservato
(cfr.,
supra,
sub
n.
2.2)
–
è
ispirata
al
principio
dell'”autoresponsabilità
economica”.
A
tale
riguardo,
è
estremamente
significativo
quanto
affermato
da
questa
Corte
con
la
sentenza
n.
18076
del
2014,
che
ha
escluso
l’esistenza
di
un
obbligo
di
mantenimento
dei
figli
maggiorenni
non
indipendenti
economicamente
(nella
specie,
entrambi
ultraquarantenni),
ovvero
di
un
diritto
all’assegnazione
della
casa
coniugale
di
proprietà
del
marito,
sul
mero
presupposto
dello
stato
di
disoccupazione
dei
figli,
pur
nell’ambito
di
un
contesto
di
crisi
economica
e
sociale:
«[….]
La
situazione
soggettiva
fatta
valere
dal
figlio
che,
rifiutando
ingiustificatamente
in
età
avanzata
di
acquisire
l’autonomia
economica
tramite
l’impegno
lavorativo,
chieda
il
prolungamento
del
diritto
al
mantenimento
da
parte
dei
genitori,
non
è
tutelabile
perché
contrastante
con
il
principio
di
autoresponsabilità
che
è
legato
alla
libertà
delle
scelte
esistenziali
della
persona
[….]».
Tale
principio
di
“autoresponsabilità”
vale
certamente
anche
per
l’istituto
del
divorzio,
in
quanto
il
divorzio
segue
normalmente
la
separazione
personale
ed
è
frutto
di
scelte
definitive
che
ineriscono
alla
dimensione
della
libertà
della
persona
ed
implicano
per
ciò
stesso
l’accettazione
da
parte
di
ciascuno
degli
ex
coniugi
–
irrilevante,
sul
piano
giuridico,
se
consapevole
o
no
–
delle
relative
conseguenze
anche
economiche.
Questo
principio,
inoltre,
appartiene
al
contesto
giuridico
Europeo,
essendo
presente
da
tempo
in
molte
legislazioni
dei
Paesi
dell’Unione,
ove
è
declinato
talora
in
termini
rigorosi
e
radicali
che
prevedono,
come
regola
generale,
la
piena
autoresponsabilità
economica
degli
ex
coniugi,
salve
limitate
–
anche
nel
tempo
–
eccezioni
di
ausilio
economico,
in
presenza
di
specifiche
e
dimostrate
ragioni
di
solidarietà.
In
questa
prospettiva,
il
parametro
della
“indipendenza
economica”
è
normativamente
equivalente
a
quello
di
“autosufficienza
economica”,
come
è
dimostrato
–
tenuto
conto
della
derivazione
di
tale
parametro
dall’art.
337-
septies,
comma
1,
cod.
civ.
–
dall’art.
12,
comma
2,
del
citato
D.L.
n.
132
del
2014,
laddove
non
consente
la
formalizzazione
della
separazione
consensuale
o
del
divorzio
congiunto
dinanzi
all’ufficiale
dello
stato
civile
«in
presenza [….] di figli maggiorenni [….] economicamente non autosufficienti».
2.4.
–
È
necessario
soffermarsi
sul
parametro
dell'”indipendenza
economica”,
al
quale
rapportare
l'”adeguatezza-inadeguatezza”
dei
«mezzi»
dell’ex
coniuge
richiedente
l’assegno
di
divorzio,
nonché
la
“possibilità-
impossibilità
«per
ragioni
oggettive»”
dello
stesso
di
procurarseli.
Va
preliminarmente
osservato
al
riguardo,
in
coerenza
con
le
premesse
e
con
la
stessa
nozione
di
“indipendenza”
economica,
che:
a)
il
relativo
accertamento
nella
fase
dell’an
debeatur
attiene
esclusivamente
alla
persona
dell’ex
coniuge
richiedente
l’assegno
come
singolo
individuo,
cioè
senza
alcun
riferimento
al
preesistente
rapporto
matrimoniale;
b)
soltanto
nella
fase
del
quantum
debeatur
è
legittimo
procedere
ad
un
“giudizio
comparativo”
tra
le
rispettive
“posizioni”
(lato
sensu
intese)
personali
ed
economico-patrimoniali
degli
ex
coniugi,
secondo
gli
specifici
criteri
dettati
dall’art.
5,
comma
6,
della
legge
n.
898
del
1970
per
tale
fase
del
giudizio.
Ciò
premesso,
il
Collegio
ritiene
che
i
principali
“indici”
–
salvo
ovviamente
altri
elementi,
che
potranno
eventualmente
rilevare
nelle
singole
fattispecie
–
per
accertare,
nella
fase
di
giudizio
sull’an
debeatur,
la
sussistenza,
o
no,
dell'”indipendenza
economica”
dell’ex
coniuge
richiedente
l’assegno
di
divorzio
–
e,
quindi,
l'”adeguatezza”,
o
no,
dei
«mezzi»,
nonché
la
possibilità,
o
no
«per
ragioni
oggettive»,
dello
stesso
di
procurarseli
-possono
essere
così
individuati:
1)
il
possesso
di
redditi
di
qualsiasi
specie;
2)
il
possesso
di
cespiti
patrimoniali
mobiliari
ed
immobiliari,
tenuto
conto
di
tutti
gli
oneri
lato
sensu
“imposti”
e
del
costo
della
vita
nel
luogo
di
residenza
(«dimora
abituale»:
art.
43,
secondo
comma,
cod.
civ.)
della
persona
che
richiede
l’assegno;
3)
le
capacità
e
le
possibilità
effettive
di
lavoro
personale,
in
relazione
alla
salute,
all’età,
al
sesso
ed
al
mercato
del
lavoro
dipendente
o
autonomo;
4)
la
stabile
disponibilità
di
una
casa
di
abitazione.
Quanto
al
regime
della
prova
della
non
“indipendenza
economica”
del
l’ex
coniuge
che
fa
valere
il
diritto
all’assegno
di
divorzio
,
non
v’è
dubbio
che,
secondo
la
stessa
formulazione
della
disposizione
in
esame
e
secondo
i
normali
canoni
che
disciplinano
la
distribuzione
del
relativo
onere,
allo
stesso
spetta
allegare,
dedurre
e
dimostrare
di
“non
avere
mezzi
adeguati”
e
di
“non
poterseli
procurare
per
ragioni
oggettive
”.
Tale
onere
probatorio
ha
ad
oggetto
i
predetti
indici
principali,
costitutivi
del
parametro
dell'”indipendenza
economica”,
e
presuppone
tempestive,
rituali
e
pertinenti
allegazioni
e
deduzioni
da
parte
del
medesimo
coniuge,
restando
fermo,
ovviamente,
il
diritto
all’eccezione
e
alla
prova
contraria
dell’altro
(cfr.
art.
4,
comma
10,
della
legge
n.
898
del
1970).
In
particolare,
mentre
il
possesso
di
redditi
e
di
cespiti
patrimoniali
formerà
normalmente
oggetto
di
prove
documentali
–
salva
comunque,
in
caso
di
contestazione,
la
facoltà
del
giudice
di
disporre
al
riguardo
indagini
officiose,
con
l’eventuale
ausilio
della
polizia
tributaria
(art.
5,
comma
9,
della
legge
n.
898
del
1970)
-,
soprattutto
“le
capacità
e
le
possibilità
effettive
di
lavoro
personale”
formeranno
oggetto
di
prova
che
può
essere
data
con
ogni
mezzo
idoneo,
anche
di
natura
presuntiva,
fermo
restando
l’onere
del
richiedente
l’assegno
di
allegare
specificamente
(e
provare
in
caso
di
contestazione)
le
concrete
iniziative
assunte
per
il
raggiungimento
dell’indipendenza
economica,
secondo
le
proprie
attitudini
e
le
eventuali esperienze lavorative.
2.5.
–
Pertanto,
devono
essere
enunciati
i
seguenti
principi
di
diritto
.
Il
giudice
del
divorzio,
richiesto
dell’assegno
di
cui
all’art.
5,
comma
6,
della
legge
n.
898
del
1970,
come
sostituito
dall’art.
10
della
legge
n.
74
del
1987,
nel
rispetto
della
distinzione
del
relativo
giudizio
in
due
fasi
e
dell’ordine
progressivo
tra
le
stesse
stabilito
da
tale norma:
A)
deve
verificare,
nella
fase
dell’an
debeatur
–
informata
al
principio
dell’autoresponsabilità
economica”
di
ciascuno
degli
ex
coniugi
quali
“persone
singole”,
ed
il
cui
oggetto
è
costituito
esclusivamente
dall’accertamento
volto
al
riconoscimento,
o
no,
del
diritto
all’assegno
di
divorzio
fatto
valere
dall’ex
coniuge
richiedente
-,
se
la
domanda
di
quest’ultimo
soddisfa
le
relative
condizioni
di
legge
(mancanza
di
«mezzi
adeguati»
o,
comunque,
impossibilità
«di
procurarseli
per
ragioni
oggettive»),
con
esclusivo
riferimento
all’indipendenza
o
autosufficienza
economica
”
dello
stesso,
desunta
dai
principali
“indici”
–
salvo
altri,
rilevanti
nelle
singole
fattispecie
–
del
possesso
di
redditi
di
qualsiasi
specie
e/o
di
cespiti
patrimoniali
mobiliari
ed
immobiliari
(tenuto
conto
di
tutti
gli
oneri
lato
sensu
“imposti”
e
del
costo
della
vita
nel
luogo
di
residenza
dell’ex
coniuge
richiedente),
delle
capacità
e
possibilità
effettive
di
lavoro
personale
(in
relazione
alla
salute,
all’età,
al
sesso
ed
al
mercato
del
lavoro
dipendente
o
autonomo),
della
stabile
disponibilità
di
una
casa
di
abitazione;
ciò,
sulla
base
delle
pertinenti
allegazioni,
deduzioni
e
prove
offerte
dal
richiedente
medesimo,
sul
quale
incombe
il
corrispondente
onere
probatorio,
fermo
il
diritto
all’eccezione ed alla prova contraria dell’altro ex coniuge;
B)
deve
“tener
conto”,
nella
fase
del
quantum
debeatur
–
informata
al
principio
della
«solidarietà
economica»
dell’ex
coniuge
obbligato
alla
prestazione
dell’assegno
nei
confronti
dell’altro
in
quanto
“persona”
economicamente
più
debole
(artt.
2
e
23
Cost),
il
cui
oggetto
è
costituito
esclusivamente
dalla
determinazione
dell’assegno,
ed
alla
quale
può
accedersi
soltanto
all’esito
positivo
della
prima
fase,
conclusasi
con
il
riconoscimento
del
diritto
-,
di
tutti
gli
elementi
indicati
dalla
norma
(«[….]
condizioni
dei
coniugi,
[….]
ragioni
della
decisione,
[….]
contributo
personale
ed
economico
dato
da
ciascuno
alla
conduzione
familiare
ed
alla
formazione
del
patrimonio
di
ciascuno
o
di
quello
comune,
[….]
reddito
di
entrambi
[….]»),
e
“valutare”
«tutti
i
suddetti
elementi
anche
in
rapporto
alla
durata
del
matrimonio»,
al
fine
di
determinare
in
concreto
la
misura
dell’assegno
di
divorzio;
ciò
sulla
base
delle
pertinenti
allegazioni,
deduzioni
e
prove
offerte,
secondo
i
normali
canoni
che
disciplinano
la
distribuzione
dell’onere
della
prova (art. 2697 cod. civ.).
2.6.
–
Venendo
ai
motivi
del
ricorso,
da
esaminare
congiuntamente
alla
luce
dei
principi
di
diritto
poc’anzi
enunciati,
essi
sono
infondati.
La
sentenza
impugnata,
nell’escludere
il
diritto,
invocato
dalla
Lo.,
all’attribuzione
dell’assegno
divorzile,
non
ha
avuto
riguardo,
in
concreto,
al
criterio
della
conservazione
del
tenore
di
vita
matrimoniale,
che
pure
ha
genericamente
richiamato
ma
sul
quale
non
ha
indagato.
In
tal
modo,
la
Corte
di
merito
si
è
sostanzialmente
discostata
dall’orientamento
giurisprudenziale
in
questa
sede
criticato,
come
rilevato
dal
P.G.,
e
tuttavia
è
pervenuta
a
una
conclusione
conforme
a
diritto,
avendo
ritenuto
–
in
definitiva
–
che
l’attrice
non
avesse
assolto
l’onere
di
provare
la
sua
non
indipendenza
economica,
all’esito
di
un
giudizio
di
fatto
–
ad
essa
riservato
–
adeguatamente
argomentato,
dal
quale
emerge
che
la
Lo.
è
imprenditrice,
ha
un’elevata
qualificazione
culturale,
possiede
titoli
di
alta
specializzazione
e
importanti
esperienze
professionali
anche
all’estero
e
che,
in
sede
di
separazione,
i
coniugi
avevano
pattuito
che
nessun
assegno
di
mantenimento
fosse
dovuto
dal
Gr..
La
motivazione
in
diritto
della
sentenza
impugnata
dev’essere
quindi
corretta
(come
si
è
detto
sub
n.
2.1),
coerentemente
con
i
principi
sopra
enunciati
(sub
n.
2.5,
lett.
A).
3.
–
In
conclusione,
il
ricorso
è
rigettato.
Le
spese
del
presente
giudizio
devono
essere
compensate,
in
considerazione
del
mutamento
di
giurisprudenza
su
questione
dirimente
per
la
decisione.
P.Q.M.
La
Corte
rigetta
il
ricorso
e
compensa
le
spese
del
giudizio.
Doppio
contributo
a
carico
della
ricorrente,
come
per
legge. In caso di diffusione del presente provvedimento, omettere le generalità e gli altri dati identificativi.
In aggiornamento
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