3.
La
separazione
consensuale
su
istanza
di
entrambe le parti
.
E’
una
procedura
che
si
svolge in Tribunale.
Può
essere
incardinata
solo
presso
il
tribunale
territorialmente
competente
con
riferimento
alla
residenza
di
almeno
uno
dei
coniugi.
Viene
iniziata
da
entrambi
i
coniugi
che
firmano
lo
stesso
ricorso
che
contiene
la
disciplina
dei
propri
rapporti
personali
e
patrimoniali,
frutto
del
loro
accordo.
Nel
ricorso
deve
essere
indicato
il
tipo
di
affidamento
della
prole,
il
tempo
di
permanenza
dei
figli
con
l’uno
e
con
l’altro
dei
genitori,
la
misura
degli
assegni
di
mantenimento
per
il
coniuge
che
non
abbia
adeguati
redditi
propri
e
gli
assegni
dovuti
allo
stesso
perché
li
volga
al
mantenimento dei figli.
Il
Tribunale
ha
un
potere
discrezionale
nel
giudicare
se
tali
accordi
sono
idonei
alla
cura
degli
interessi
della
prole
o
meno.
Se
li
ritiene
inidonei
(perché
ad
es.
gli
assegni
di
mantenimento
sono
troppo
bassi),
il
Tribunale
stesso
rifiuta
di
omologare
la
separazione.
Trattandosi
di
una
procedura
c.d.
di
volontaria
giurisdizione,
cioè
nella
quale
i
coniugi
stessi
dettano
la
disciplina
dei
propri
rapporti,
il
Tribunale
può
solo
rifiutarsi
di
omologare
la
separazione
alle
condizioni
stabilite
dai
coniugi
estinguendo
il
procedimento,
ma
non
può
stabilire
esso
stesso
in
questa
procedura,
d’imperio,
alcuna
condizione
differente
da
quelle
scelte
spontaneamente
dai
coniugi.
In
assenza
di
figli
invece,
qualunque
accordo
tra
i
coniugi
viene
omologato
senza
che
sia
eseguito
dal
tribunale
alcun
sindacato sullo stesso.
4.
La
separazione
consensuale
con
negoziazione
assistita
.
E’
una
procedura
che
si
svolge
presso
uno
degli
studi
degli
avvocati
difensori
della
coppia.
Gli
avvocati
devono
essere almeno uno per parte.
(circolare
Min.
Gius.
n
6/15
del 24.04.2015).
In
mancanza
di
figli
l’accordo
raggiunto
è
trasmesso
al
procuratore
della
Repubblica
competente
il
quale,
quando
non
ravvisa
irregolarità,
comunica
agli
avvocati
il
nullaosta
e
ne
autorizza
la
trascrizione
nei
registri
dello
Stato Civile.
In
presenza
di
figli
minori
o
di
figli
maggiorenni
economicamente
non
autosufficienti,
l’accordo
raggiunto
deve
essere
trasmesso
entro
il
termine
di
dieci
giorni
al
procuratore
della
Repubblica,
il
quale,
quando
ritiene
che
l’accordo
risponde
all’interesse
dei
figli,
lo
autorizza.
Quando
ritiene
che
l’accordo
non
risponde
all’interesse
dei
figli,
lo
trasmette
al
presidente
del
tribunale,
che
fissa,
entro
i
successivi
trenta
giorni,
la
comparizione
delle
parti
davanti a se.
Quando
l’accordo
è
autorizzato,
l’avvocato
della
parte
trasmette,
entro
il
termine
di
dieci
giorni,
all’ufficiale
dello
stato
civile
del
Comune
in
cui
il
matrimonio
fu
iscritto
o
trascritto,
copia
autenticata
dallo
stesso.
Il
titolo
così
ottenuto
ha
gli
stessi
effetti
di
quelli
di
una
decisione
dell’Autorità Giudicante.
5.
la
separazione
consensuale
presso
l’Ufficio
del
Comune
(a
Roma
Uffici
dell’Anagrafe
Centrale.)
E’
una
procedura
che
si
svolge
presso
gli
Uffici
del
Comune
di
residenza
di
almeno
uno
dei
coniugi.
Questa
procedura
è
limitata
all’ipotesi
che
non
vi
siano
figli
minorenni
o
non
i
n
d
i
p
e
n
d
e
n
t
i
economicamente
e
non
siano
previsti
assegni
di
mantenimento
né
trasferimenti
di
proprietà
a
componimento
di
rapporti
patrimoniali.
Non
occorre
essere
assistiti
da
un
avvocato.
I
coniugi
dovranno
presentarsi
davanti
all'Ufficiale
una
seconda
e
ultima
volta,
non
prima
di
30
giorni,
per
confermare
le
dichiarazioni dell'accordo.
L'istituto
della
separazione
è
stato
disegnato
dal
legislatore
per
tentare
di
conservare
il
matrimonio.
Infatti,
anziché
consentire
ai
coniugi
di
sciogliere
immediatamente
il
vincolo
coniugale
con
il
divorzio
sull'onda
di
una
lite
estemporanea,
il
legislatore
ha
deciso
di
porli,
necessariamente,
con
la
separazione
preliminare
obbligatoria,
per
un
certo
periodo,
(3
anni
dal
1975
al
2015
e
oggi
6
mesi
se
consensuale
o
1
anno
se
giudiziale),
in
una
condizione
di
serenità
coattiva,
raggiunta
con
l’ordine
del
Tribunale
dato
ad
uno
dei
coniugi
di
allontanarsi
dalla
casa
coniugale
(con
la
separazione
i
coniugi
non
essendo
vicini
non
possano
continuare
le
liti
che
li
hanno
indotti
a
separarsi),
che
consente
loro
di
meditare
e
decidere
se
divorziare,
se
rimanere
separati
sine
die,
o
se
riconciliarsi.
Essendo
la
separazione
un
istituto
voluto
dal
tentativo
di
conservare
il
matrimonio,
la
legge
prevede
che
durante
la
separazione
i
coniugi
siano
ancora
marito
e
moglie.
La
separazione
è
infatti
una
condizione
giuridica
che
la
coppia
conosce
all'interno
del
matrimonio.
il
legislatore
ha
poi
teso
ponti
d’oro
verso
la
riconciliazione.
Se
la
copia
vuole
riconciliarsi,
tutto
quello
che
dovrà
fare
sarà
tornare
insieme.
Non
sono
previste
procedure
o
comunicazioni
per
perfezionare
la
riconciliazione.
la
riconciliazione
annulla
gli
effetti della separazione.
necessario
eseguire
una
perizia
da
parte
del
CTU
(consulente
tecnico
d’ufficio)
o
far
compiere,
per
determinare
la
misura
dell’assegno,
indagini
della
polizia
tributaria
a
carico
del
coniuge
imprenditore
che
viene
accusato
dall’altro
di
dichiarazioni
inveritiere.
Queste
attività
possono
durare mesi o anni.
Una
coppia
che
litiga
nello
stesso
appartamento
non
può
aspettare
mesi
o
anni
per
ottenere
dal
tribunale
il
provvedimento
che dispone la separazione.
Per
questo
il
legislatore
ha
diviso
tale
procedura
in
due
fasi
:
una
prima
fase
c.d.
fase
d’urgenza
e
una
seconda
fase c.d.
istruttoria
.
All’esito
della
fase
di
urgenza
il
giudice
detta
(con
il
c.d.
decreto
provvisorio)
in
un
tempo
molto
breve,
(entro
90
giorni
dalla
proposizione
della
domanda
di
separazione,
dopo
aver
ascoltato
i
coniugi
e
letti
gli
atti
introduttivi),
una
disciplina
completa
e
cogente:
ordina
ad
uno
dei
due
coniugi
di
allontanarsi
dalla
casa
coniugale
(per
realizzare
il
fatto
della
separazione
degli
stessi),
determina
gli
assegni
di
mantenimento,
assegna
la
casa
coniugale
e
definisce
l’affidamento dei figli.
Quindi,
comincia
l’istruttoria
che
si
concluderà
con
una
sentenza
finale,
ponderata
sulla
base
dei
dati
emersi
durante
tale
approfondita
fase.
Il
coniuge
che
rimarrà
nella
casa
coniugale
(mentre
l’altro
dovrà
allontanarsene
fin
dal
decreto
provvisorio)
non
è
il
proprietario
o
il
locatore
per
il
fatto
di
avere
tali
titoli,
ma
quello
dei
due
coniugi
con
il
quale
il
Tribunale
stabilisce
che
la
prole
passerà
un
tempo
maggiore
rispetto
all'altro,
in
modo
da
assicurare
alla
prole
la
conservazione
delle
abitudini
radicate
nell'ambiente domestico.
A
tale
coniuge,
se
la
proprietà
della
casa
è
dell'altro
o
è
cointestata
o
è
in
locazione
all'altro,
il
Tribunale
assegnerà
la
casa
coniugale.
Il
diritto
di
assegnazione
offre
la
possibilità
di
abitare
gratuitamente
nella
casa
coniugale
senza
pagare
alcun
affitto
all'altro
coniuge
che
ne
sia
proprietario.
Se
l'altro
coniuge
è
locatario,
l'assegnatario
subentrerà
ope
legis
nel
contratto di locazione.
La
durata
dell'assegnazione
è
determinata
dal
suo
scopo:
assicurare
alla
prole
la
conservazione
delle
proprie
abitudini domestiche.
Pertanto
il
diritto
di
assegnazione
può
essere
rimosso,
su
istanza
del
coniuge
proprietario
se
la
casa
coniugale
viene
s
p
o
n
t
a
n
e
a
m
e
n
t
e
abbandonata
dal
genitore
assegnatario
della
stessa,
quando
i
figli
se
ne
a
l
l
o
n
t
a
n
a
n
o
definitivamente,
quando
i
figli
diventati
adulti
si
trovano
nelle
condizioni
oggettive
di
potersi
procurare
anche
solo
potenzialmente
adeguati
redditi
propri.
(Questa
ultima
condizione
si
verifica,
secondo
l'orientamento
dominante
della
Suprema
Corte,
quando
i
figli
compiono
il
32° anno di età).
Il
genitore
con
il
quale
la
prole
minorenne
verrà
collocata
prevalentemente
(cioè
passerà
più
tempo)
non
verrà
individuato
sulla
base
della
propria
capacità
di
mantenerla,
sulla
base
dei
maggiori
redditi,
ma
sulla
base
della
maggiore
idoneità
ad
assicurare
alla
prole
educazione
ed
assistenza
.
Poiché
esiste
letteratura
scientifica
nota,
che
afferma
che
le
donne
sono
più
naturalmente
disposte
alla
cura
dei
figli
e
statisticamente
guadagnano
meno
degli
uomini,
in
genere
viene
disposto
che
i
figli
passino
un
tempo
maggiore
con
quello
dei
due
genitori,
la
madre,
che
ha
meno
risorse
per
mantenerli.
Per
assicurare
alla
prole
adeguate
risorse,
ovviando
al
problema
appena
descritto,
il
Tribunale
dispone
a
carico
del
coniuge
più
abbiente
il
pagamento
di
un
assegno
di
mantenimento
periodico
a
favore
dell'altro
coniuge
che
non
abbia
adeguarti
redditi
propri
ed
altri
assegni
allo
stesso,
perché
li
volga
al
mantenimento dei figli.
Potendo
il
Giudice
redistribuire
le
risorse
reddituali
della
famiglia
con
lo
strumento
degli
assegni
periodici,
diventa
irrilevante
quale
dei
due
coniugi
generi,
con
il
proprio
lavoro
o in altro modo, tali risorse.
È
evidentemente
irrilevante
rispetto
a
tutte
le
decisioni
sopra
descritte
chi
dei
due
coniugi
abbia
iniziato
la
procedura
di
separazione giudiziale.
È
rilevante
invece
chi
abbia
causato
il
fatto
della
separazione
con
una
condotta
contraria
ai
doveri
che
derivano
dal
matrimonio,
(assistenza
morale
e
materiale,
coabitazione,
fedeltà,
rispetto
reciproco
-art.lo
143 c.c.-).
Se
le
liti
intollerabili
non
sono
causate
da
un
incompatibilità
di
carattere
emersa
durante
il
coniugio,
attribuibile
ad
entrambi
i
coniugi,
ma
dalla
condotta
illegittima
di
uno
solo
dei
due
coniugi,
il
Giudice
addebita
allo
stesso
la
separazione
(c.d.
separazione con addebito).
l’addebito
provoca
la
perdita
dei
diritti
successori
sussistenti
tra
moglie
e
marito
per
il
fatto
del
coniugio,
e
la
perdita
del
diritto
a
ricevere
dall’altro
coniuge
un
assegno
di
mantenimento,
qualora,
in
concreto,
per
il
fatto
della
differenza
reddituale
e/o
patrimoniale
dei
coniugi
questo diritto sussistesse.
Nel
divorzio
a
domanda
congiunta
invece,
il
Tribunale
può
emettere
una
sentenza
che
contiene
disposizioni
(al
cui
rispetto
i
coniugi
sono
tenuti)
difformi
rispetto
a
quelle
che
i
coniugi
stessi
avevano
concordato
e
chiesto
congiuntamente
di
recepire
nella sentenza.
Ciò
si
verifica
perché
il
tribunale
che
rinvenga
nelle
pattuizioni
condizioni
contrarie
all’interesse
della
prole,
anziché
estinguere
il
procedimento,
come
avviene
nella
separazione
consensuale,
lo
prosegue
applicando
il
rito
della
procedura
di
separazione
giudiziale
che
si
concluderà
con
una
sentenza
che
potrà
avere
un
contenuto
del
tutto
differente
dalla
disciplina
proposta
congiuntamente
dai
coniugi.
Questo
può
avvenire,
come
detto,
solo
se
il
tribunale
ritiene
inadatte
alla
cura
dell’interesse
della
prole,
le
pattuizioni
che
i
coniugi
concordano.
Pertanto
in
assenza
di
figli
minori
o
in
presenza
di
figli
maggiorenni
e
c
o
n
o
m
i
c
a
m
e
n
t
e
autosufficienti,
il
Tribunale
emetterà
una
sentenza
che
recepisce
le
pattuizioni
dei
coniugi.
Nel
divorzio,
qualora
uno
dei
due
coniugi
abbia
maggiori
risorse
rispetto
all’altro,
è
tenuto
(sussistendo
le
condizioni
di
cui
all’art.lo
5
L
898/70,
vedi
colonna
“divorzio
contenzioso”)
alla
corresponsione
a
favore
di
quest’ultimo
di
un
assegno
periodico
c.d.
divorzile,
che
sostituisce
quello
di
mantenimento
goduto
durante la separazione.
Fino
a
quando?
finché
il
coniuge beneficiario:
1
.
si
risposa
(le
nuove
nozze
estinguono
il
diritto
all’assegno
divorzile) o
2
.
sorgono
innovazioni
nei
rapporti
patrimoniali
degli
ex
coniugi
stessi
(il
mutamento
delle
condizioni
patrimoniali
degli
ex
coniugi,
indipendenti
dalla
propria
volontà,
consente
di
di
rivedere
in
qualunque
tempo
l’entità dell’assegno).
Se
tali
eventi
non
si
verificano,
tale
obbligo
di
pagare
l’assegno
divorzile
può durare per tutta la vita.
Inoltre
se
l’ex
marito
fa
carriera
e
aumenta
i
propri
redditi,
l’ex
moglie
può
chiedere
un
numero
illimitato
di
volte
di
aumentare
l’entità
dell’assegno
divorzile,
per
adeguarlo
alle
intervenute
modificazioni
dei
rapporti
patrimoniali.
La
procedura
di
divorzio
a
domanda
congiunta
offre
un
alternativa
all’assegno
divorzile periodico.
Usando
tale
procedura
i
coniugi
possono
accordarsi
perché
la
corresponsione
dell’assegno
divorzile
anziché
periodicamente,
avvenga
in
un'unica
soluzione.
(Come
detto
è
necessario
un
accordo.
Non
è
possibile
chiedere
unilateralmente
al
tribunale
di
disporre
tale
soluzione
in
un
giudizio
di
divorzio
contenzioso
contro
la
volontà
dell’altro coniuge).
Immaginiamo
il
caso
di
un
marito
abbiente
che
ha
una
moglie
casalinga
nullatenente,
impossibilitata
a
procurarsi
adeguati
redditi
propri
dopo
il
divorzio,
a
causa
della
scarsa
scolarizzazione,
dell’età
o
di
altro motivo.
In
questo
esempio,
l’ex
marito
è
obbligato
a
versare
alla
ex
moglie
un
assegno
divorzile periodico.
Egli
tuttavia
può
preferire
cedere
alla
moglie
un’importante
quantità
di
ricchezza
perché
lei
possa
soddisfare
le
proprie
esigenze
con
quella,
anziché
corrisponderle
un
assegno
periodico
potenzialmente
per
sempre
ed
essere
esposto
al
rischio
che,
se
si
verificano
le
eventualità
sopra
descritte,
l’assegno
sia
anche
più
volte
aumentato.
Se
la
moglie
accetta
tale
soluzione
,
ella
non
potrà
più
avanzare
rivendicazioni
patrimoniali
nei
confronti
dell’ex
marito
e
non
potrà
mai
più
chiedere
alcun
assegno
divorzile
periodico.
L’esempio
più
tipico
di
una
simile
scelta
è
quello
del
marito
abbiente
che
trasferisce
alla
moglie
sulla
base
di
un
accordo
con
la
stessa,
in
occasione
del
divorzio,
un
proprio
appartamento
perché
ella
possa
mantenersi,
non
con
un
assegno
periodico,
ma
traendo
dall’immobile
i
c.d.
frutti
civili
cioè
i
canoni
di
locazione.
Questa
soluzione
è
vantaggiosa
per
il
marito
perché
non
dovrà
pagare
alcun
assegno
periodico
e
perché
tacita
per
sempre
le
altrimenti
possibili
successive
rivendicazioni
patrimoniali
della
ex
moglie
consistenti
nella
richiesta
di
un
ulteriore
aumento
dell’assegno,
al
mutare
delle
condizioni
patrimoniali
degli
ex coniugi.
È
vantaggiosa
per
la
moglie
perché
consente
alla
stessa
di
risposarsi
o
di
trovare
un
lavoro
remunerativo,
conservando
la
proprietà
dell’immobile
conseguita
dal
marito
in
occasione del divorzio.
Infatti,
nell’esempio,
se
la
moglie
scegliesse
di
ricevere
dall’ex
marito
anziché
l’appartamento,
un
assegno
periodico,
come
sopra
detto,
in
caso
di
nuove
nozze
o
se
trovasse
un
lavoro
adeguatamente
remunerato,
perderebbe tale assegno.
Può
accadere
però
che
il
comiuge
più
abbiente
induca
l’altro
ad
accettare,
come
soluzione
alle
proprie
contingenti
difficoltà,
a
titolo
di
pagamento
dell’assegno
divorzile
in
un
unica
soluzione,
un
bene
di
scarso
valore
come
un
box
auto
o
una
piccola
comproprietà
o
una
somma
limitata
di
denaro.
In
questo
modo
il
coniuge
beneficiario
di
una
simile
limitata
c
o
r
r
e
s
p
o
n
s
i
o
n
e
consumerebbe
quelle
risorse
rapidamente
e
non
potrebbe
mai chiederne altre.
Per
questo
motivo
la
legge
prevede
che
il
tribunale
possa
rifiutare
tale
soluzione
proposta
dai
coniugi
congiuntamente,
se
la
misura
della
corresponsione
viene
ritenuta
dallo
stesso
tribunale non equa.
Nel
caso
in
cui
il
coniuge
con
maggiori
risorse
sia
dipendente
e
dunque
abbia
diritto
al
TFR,
secondo
la
giurisprudenza
prevalente,
se
l’altro
coniuge
accetta
di
ricevere
la
corresponsione
dell’assegno
divorzile
in
un
unica
soluzione,
perde
il
diritto
a
ricevere
il
40%
(rapportato
alla
coincidenza
della
durata
del
matrimonio
con
quella
del
rapporto
lavorativo)
del
TFR
(trattamento
di
fine
rapporto)
dell’altro
ex
coniuge
conseguito
dopo
il
divorzio.
Tale
somma
spetta
invece
alla
divorziata/o
che
sia
titolare
di
un
assegno
divorzile periodico.
Questo
affievolirsi
dei
legami
si
traduce
in
una
riduzione,
stabilita
dalla
legge,
dell’obbligo
di
un
coniuge di assistere l’altro.
Così
ad
es.,
se
ad
un
coniuge
separato
spetta
un
assegno
di
mantenimento
solo
che
questi
non
abbia
adeguati
redditi
propri,
(art.156
c.c.),
al
coniuge
divorziato
spetta
un
assegno
divorzile
se
oltre
a
non
avere
mezzi
adeguati,
non
possa
nemmeno
procurarseli
per
ragioni
oggettive
(co.
4
art.lo
5 L. 898/70).
Onde
gli
spetta
un
assegno
divorzile
solo
se
non
è
oggettivamente
in
grado
di
trovare
un
lavoro,
(pensiamo
al
caso
di
una
donna
anziana
di
bassa
scolarizzazione
per
la
quale
sarebbe
oggettivamente
difficoltoso
trovare un impiego).
Se
il
coniuge
divorziato,
che
non
abbia
mezzi
adeguati
al
momento
del
divorzio,
ha
invece
un
alta
scolarizzazione
ed
è
giovane
e
dunque
ha
oggettivamente
buone
probabilità
di
procurarsi
redditi
propri
adeguati,
paragonabili
a
quelli
dell’altro,
non
può
scegliere,
per
il
fatto
della
normativa
sopra
richiamata,
di
non
lavorare
e
di
farsi
mantenere
dall’ex coniuge.
Le
generali
difficoltà
a
trovare
un
impiego
causate
dalla
recente
crisi
economica
hanno
evidentemente
aumentato
le
probabilità
del
coniuge
che
si
trovi
nelle
condizioni
dell’esempio
sopra
descritto,
di
conseguire
un
assegno
divorzile
importante
avendo
provocato,
la
crisi
economica,
quelle
ragioni
oggettive
che
rendono
estremamente
difficoltoso
procurarsi
adeguati
redditi
propri.
Nel
divorzio,
per
il
fatto
della
cessazione
del
matrimonio
ci
sono
criteri
più
complessi
di
quelli
previsti
dalla
normativa
sulla
separazione
per
la
determinazione
della
misura
dell’assegno.
Ad
esempio
nella
separazione
il
giudice
determina
gli
assegni
con
il
solo
scopo
di
perequare
le
risorse
della
famiglia
nell’ambito
di
un
coniugio
che continua.
Nel
divorzio,
con
la
cessazione
del
coniugio,
per
determinare
gli
assegni,
il
giudice
deve
avere
riguardo
anche
a
quello
che
è
stato
il
“contributo
personale
ed
economico
dato
da
ciascuno
alla
conduzione
familiare
ed
alla
formazione
del
patrimonio
di
ciascuno
o
di
quello
comune”
.
Facciamo
un
esempio
in
cui
questa
regola
viene
applicata:
il
marito
acquista
un
immobile
prima
del
matrimonio
intestandone
la
proprietà
al
100%
in
capo
a
se
e
accende
un
mutuo
per
pagarne
il
prezzo.
Durante
il
matrimonio
egli
volge
il
proprio
stipendio
al
pagamento
del
mutuo
e
offre
così
alla
moglie,
con
la
condivisione
della
detenzione
di
tale
immobile,
che
viene
adibito
a
casa
familiare,
la
soddisfazione
dell’esigenza
primaria
dell’abitazione.
La
moglie,
che
lavora,
provvede
invece
all’acquisto
del
cibo
e
al
pagamento
delle
bollette.
Le
risorse
dei
coniugi
appaiono
entrambe
volte
alla
cura degli interessi familiari.
Al
momento
del
divorzio
però,
avremo
un
coniuge
che
si
è
arricchito
(
non
consumando
i
propri
stipendi
nel
manage
familiare
ma
trasformandoli
in
un
immobile
di
sua
proprietà
esclusiva) e
un
altro
che
si
è
i
m
p
o
v
e
r
i
t
o
,
a
v
e
n
d
o
consumato
invece
i
propri
redditi
nel
sostentamento
della famiglia.
In
questo
caso,
se
a
chi
si
è
impoverito,
spetta
un
assegno
divorzile,
(per
il
fatto
delle
differenti
risorse
e
delle
altre
regole
prima
descritte),
gli
verrà
riconosciuto
un
assegno
di
entità
maggiore,
perché
il
giudice
valuterà
la
circostanza
descritta
nella
determinazione
della
misura
dell’assegno.
Un'altra
regola
che
è
presente
nel
divorzio,
ma
non
nella
separazione,
è
quella
che
stabilisce
che
al
coniuge
divorziato
(ma
per
l’appunto
non
al
coniuge
separato)
spetta,
se
titolare
di
un
assegno
divorzile
periodico
,
il
40
%
del
TFR
conseguito
dopo
la
proposizione
della
domanda
di
divorzio
dall’altro
coniuge
(rapportato
alla
coincidenza
della
durata
del
matrimonio
con
quella
del rapporto lavorativo).
Facciamo
un
esempio
per
capire
perché:
la
moglie,
casalinga,
volge
il
proprio
tempo
e
le
proprie
risorse
fisiche
ai
lavori
domestici.
Il
marito
potendo
fruire
di
camicie
stirate,
cibo
preparato,
spesa
fatta,
vestiti
e
piatti
lavati,
figli
accuditi,
può
invece
volgere
il
proprio
tempo
e
le
proprie
risorse
fisiche
ad
un
lavoro
remunerato.
In
questo
modo
i
redditi
del
marito
sono
il
risultato
di
un
complesso
di
attività
necessarie
delle
quali
quelle
eseguite
dalla
moglie,
che
si
inseriscono
nel
processo
a
formazione
progressiva
di
generazione
di
quei
redditi,
non
sono
remunerate
dal
datore
di
lavoro
del
marito.
Il
TFR
consiste
pertanto
di
ricchezza
che
incorpora
sia
quella
profusa
dal
marito,
sia
quella
profusa
dalla
moglie,
ma
queste
non
vengono
remunerate
separatamente
tra
i
due
coniugi
dal
datore
di
lavoro
del
marito.
Pertanto
la
legge
stabilisce
che
deve
essere redistribuita.
Un
altra
differenza
sulla
determinazione
dell’assegno
nel
divorzio
rispetto
a
quella
della
separazione,
è
la
reazione
della
durata
del
matrimonio
sull’entità
dell’assegno.
In
base
alla
normativa
sulla
separazione,
la
durata
del
matrimonio
non
reagisce
sulla
misura
dell’assegno,
mentre
reagisce
invece
in
base
alla
normativa
sul
divorzio.
Ciò
si
giustifica
perché
durante
la
separazione
i
coniugi
sono
ancora
marito
e
moglie
e
per
l’effetto
non
ha
rilievo
il
dato
sulla
durata
del
matrimonio
che
può
proseguire
anche
per
tutta
la
vita,
se
i
coniugi
si
riconciliano.
Dopo
il
divorzio
invece
il
matrimonio
è
cessato
e
il
contributo
personale
dato
da
ciascuno
alla
conduzione
familiare
ha
necessariamente
un
valore
differente
in
base
alla
durata
del
matrimonio.
Esso
non
può
essere
importante
se
eseguito
in
un
tempo molto ristretto.
Tutte
queste
particolarità
della
disciplina
del
divorzio
riguardano
solo
gli
ex
coniugi.
Con
riferimento
invece
ai
figli,
gli
obblighi
dei
genitori
nei
loro
confronti
durante
la
separazione
e
dopo
il
divorzio
sono
sostanzialmente
identici.
La
pensione
di
reversibilità
spetta
al
coniuge
superstite
divorziato
solo
se
titolare
di
un
assegno
divorzile
periodico
e
se
non
passato
a
nuove
nozze.
Se
ci
sono
più
coniugi
superstiti
divorziati,
(che
hanno
sposato
serialmente
lo
stesso
de
cuius),
concorrono
in
ragione
della
durata
del
proprio
matrimonio,
con
gli
altri,
sulla
pensione
di
reversibilità.
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