INDICE DEL CAPITOLO
COS’È
IL
DIVORZIO
-
DIFFERENZA
TRA
IL
DIVORZIO
E
LA
SEPARAZIONE
-
QUANDO
POSSO
DIVORZIARE
-
LIMITE
DI
EFFICACIA
DELLA
SENTENZA
DI
DIVORZIO
-
L’ASSEGNO
DIVORZILE
-
IL
PAGAMENTO
DELL’ASSEGNO
DIVORZILE
IN
UN
UNICA
SOLUZIONE
-
L’ASSEGNO
DI
MANTENIMENTO
DEI
FIGLI
NEL
DIVORZIO
-
L’AFFIDAMENTO
DELLA
PROLE
NEL
DIVORZIO
-
L’ASSEGNAZIONE
DELLA
CASA
CONIUGALE
NEL
DIVORZIO
-
IL
DIRITTO
AD
UNA
QUOTA
DEL
TRATTAMENTO
DI
FINE
RAPPORTO
PERCEPITO
DALL’ALTRO
CONIUGE
-
IL
DIRITTO
ALLA
PENSIONE
DI
REVERSIBILITÀ
-
I
DIRITTI
SUCCESSORI
NEL
DIVORZIO
-
LA
MODIFICA
DELL’ASSEGNO
E
DELL’AFFIDAMENTO
DEI
FIGLI
DOPO
LA
SENTENZA
DEFINITIVA
DI DIVORZIO -
TASSE E AGEVOLAZIONI FISCALI NEL DIVORZIO
_________________________________________________
COS’É IL T.F.R.?
Il
T.F.R.
è
l’acronimo
di
“Trattamento
di
Fine
Rapporto”.
Esso
si
sostanzia
in
una
importante
corresponsione
di
denaro,
erogata
“una
tantum”
(cioè
solo
una
volta),
che
il
datore
di
lavoro
è
tenuto
a
versare, per legge, al lavoratore nel momento della cessazione del rapporto di lavoro.
SE DIVORZIO HO DIRITTO AD UNA QUOTA DEL T.F.R. DEL MIO CONIUGE QUANDO EGLI VA IN
PENSIONE?
Il
Trattamento
di
Fine
Rapporto
conseguito
da
un
coniuge
in
costanza
di
matrimonio
non
spetta
all’altro.
Il
T.F.R.
conseguito
da
un
coniuge
dopo
la
separazione
,
ma
prima
del
divorzio,
non
spetta
in
nessuna
misura all’altro coniuge, esattamente come in costanza di matrimonio.
Il
T.F.R.
conseguito
da
un
coniuge
dopo
il
divorzio
spetta
invece,
Leggi
l’art.
12
bis
L.
898/70
in
una
determinata misura, all’altro se quest’ultimo:
1
.
è
titolare
di
un
assegno
divorzile
periodico
di
qualunque
entità
a
carico
del
coniuge
che
consegue
il
T.F.R.,
2
.
non è passato a nuove nozze.
3
.
la
domanda
di
divorzio
viene
depositata
(da
uno
dei
due
coniugi)
prima
della
maturazione
del
diritto
a ricevere il T.F.R. da parte del coniuge che ha cessato il proprio rapporto di lavoro.
La
legge
è
scritta
in
modo
assai
reprensibile.
L’articolo
che
definisce
il
diritto
a
percepire
il
TFR
è
un
articolo
aggiunto
(e
non
sistematizzato)
alla
legge
sul
divorzio
(n.
898/1970),
17
anni
dopo,
dalla
legge
n.74/1987.
Esistevano
già
gli
art.li
12
e
13
e
così
il
nuovo
articolo
inserito
tra
i
due
è
stato
chiamato
12
“bis”. Esso recita:
________________________________________
“Il
coniuge
nei
cui
confronti
sia
stata
pronunciata
sentenza
di
scioglimento
o
di
cessazione
degli
effetti
civili
del
matrimonio
ha
diritto,
se
non
passato
a
nuove
nozze
e
in
quanto
sia
titolare
di
assegno
ai
sensi
dell'articolo
5,
ad
una
percentuale
dell'indennità
di
fine
rapporto
percepita
dall'altro
coniuge
all'atto
della
cessazione del rapporto di lavoro
anche se l'indennità viene a maturare dopo la sentenza”
________________________________________
La
prima
frase
stabilisce
che
per
ricevere
una
quota
del
TFR
dell’altro
coniuge
è
necessario
che
“Sia
stata
pronunciata
sentenza”
di
divorzio,
cioè
che
la
coppia
abbia
già
divorziato.
La
frase
finale:
“Anche
se
l'indennità
viene
a
maturare
dopo
la
sentenza”
stabilendo
che
l’indennità
possa
maturare
“
Anche
”
dopo
la
sentenza
di
divorzio
ammette
per
converso
che
possa
maturare
“
anche
”
prima
della
sentenza
di
divorzio
e
cioè
che
la
quota
del
TFR
spetta
anche
al
coniuge
non
divorziato.
In
sintesi
la
legge
dice:
condizione
necessaria per avere una quota del TFR è essere divorziato (prima frase) oppure no (seconda frase).
Prima
di
divorziare
tuttavia
il
coniuge
è
o
sposato
convivente
o
separato
e
la
legge
sul
matrimonio
e
quella sulla separazione non gli riconosce il diritto ad una quota del TFR dell’altro coniuge.
I
giudici
della
Cassazione
(cfr.
Cass.
5553/1999)
hanno
risolto
questa
antinomia
in
questo
modo:
come
detto,
stabilire
che
la
quota
del
TFR
è
dovuta
“
Anche
se
l'indennità
viene
a
maturare
dopo
la
sentenza”
significa
che
è
dovuta
a
contrario
anche
se
l’indennità
viene
a
maturare
prima
della
sentenza
(di
divorzio).
La
S.C.
ha
ritenuto
che
il
tempo
che
precede
il
momento
della
sentenza
di
divorzio
a
cui
la
legge
si
riferisce
trova
un
limite
nel
momento
del
deposito
della
domanda.
Cioè
“anche”
prima
della
sentenza
va
inteso
nel
senso
che
il
tempo
precedente
alla
sentenza
può
risalire
(solo)
fino
al
giorno
in
cui
si
deposita
il
primo
atto
detto
ricorso
in
tribunale
contenente
la
domanda
cioè
la
richiesta
di
disporre
il
divorzio.
Un’ulteriore
anticipazione
del
tempo
precedente
alla
sentenza
di
divorzio
finirebbe
col
sovrapporsi
a
quello
nel
quale
la
coppia
è
sposata
convivente
o
separata,
entrando
in
contrasto
con
la
disciplina
del
matrimonio
e
della
separazione che negano il diritto di un coniuge ad una quota del TFR dell’altro.
Pertanto
spetta
al
coniuge
divorziato
e
non
passato
a
nuove
nozze,
una
quota
del
TFR
dell’altro
se
lo
stesso
TFR
è
maturato
dopo
la
proposizione
della
domanda
di
divorzio
(se
è
maturato
prima
è
maturato
durante
il
matrimonio
o
la
separazione
e
non
spetta)
qualora
in
sentenza
venga
riconosciuto
al
primo,
un
assegno divorzile periodico
.
__________________________
Le
sentenze
vengono
emesse
anni
dopo
la
domanda
,
ma,
nelle
cause
ordinarie,
vengono
considerate
come
emesse
al
momento
della
proposizione
della
domanda,
(c.d.
principio
della
retroattività
delle
sentenze
al
momento
della
proposizione
della
domanda”),
per
non
far
reagire
pregiudizialmente
le
lungaggini
processuali sulla tutela dei diritti del cittadino.
La
legge
speciale
sul
divorzio
invece
contiene
delle
eccezioni
a
questa
regola.
La
sentenza
di
divorzio
diviene
efficace
non
al
momento
della
domanda
ma
dopo
l’annotazione
nei
registri
dell’Ufficiale
di
Stato
Civile
del
Comune
ove
il
matrimonio
fu
celebrato
art.
10
L.
898/70
e
non
è
retroattiva.
Con
riferimento
all’assegno,
anziché
essere
dovuto
dal
momento
della
domanda,
come
nelle
cause
ordinarie,
può
invece
essere
dovuto
dal
momento
della
sentenza.
Il
13mo
comma
dell’art.
4
L
898/70
stabilisce
che
“
Il
tribunale,
emettendo
la
sentenza
che
dispone
l'obbligo
della
somministrazione
dell'assegno,
può
disporre
che
tale
obbligo
produca
effetti
fin
dal
momento
della
domanda”
.
Dunque
la
retroattività
della
previsione
dell’assegno
divorzile
al
momento
della
domanda,
nel
divorzio,
sussiste
solo
se
espressamente
prevista
dai
giudici
nella
sentenza
che
conclude
la
procedura.
Se
i
giudici
scelgono
di
non
prevedere
espressamente
tale
retroattività,
l’assegno
divorzile
è
dovuto
dal
momento
dell’emissione
della
sentenza,
non
da
quello
precedente della domanda.
come
si
vede,
il
principio
generale
della
retroattività
della
sentenza
al
momento
della
domanda
è
stato
usato
dai
giudici
della
S.C.
nella
sentenza
sopra
richiamata,
per
rimediare
alle
incongruenze
dell’art. 12 bis anche se è un principio derogato dalla legge speciale sul divorzio.
_________________________________
La
Suprema
Corte,
in
recenti
sentenze,
ha
stabilito
addirittura
un
obbligo
di
motivazione
per
i
giudici
di
merito
che
vogliano
disporre
la
retroattività
della
previsione
sull’assegno
al
momento
della
domanda:
“la
decorrenza
dell’assegno
divorzile
può
essere
fissata
alla
data
della
domanda
ove
adeguatamente
motivata
”
.
(Cass.
n.
4424/2008;
n.
20024/2014).
Detta
motivazione,
in
genere,
consiste
semplicemente
nel
fatto
della
sussistenza
delle
condizioni
che
hanno
giustificato
il
riconoscimento
dell’assegno
divorzile,
già al momento della proposizione della domanda.
________________________________
La ratio fondante il diritto a ricevere una quota del T.F.R. è la seguente:
1)
Se
il
T.F.R.
viene
conseguito
da
un
coniuge
in
costanza
di
matrimonio
quella
corresponsione
entra
a
far
parte
delle
risorse
della
famiglia
e
deve
essere
volta
alla
soddisfazione
dei
bisogni
della
stessa.
(
art.
143
c.c.
ultimo
comma
:
“Entrambi
i
coniugi
sono
tenuti,
ciascuno
in
relazione
alle
proprie
sostanze
e
alla
propria
capacità
di
lavoro
professionale
o
casalingo,
a
contribuire
ai
bisogni
della
famiglia”
).
Pertanto
la
legge
assicura in questo modo all’altro coniuge (che non consegue il TFR) una redistribuzione di tale risorsa.
2)
Se
il
T.F.R.
viene
conseguito
dopo
la
separazione
ma
prima
della
domanda
di
divorzio,
poiché
una
coppia
di
separati
è
ancora
sposata
(la
separazione
infatti,
a
differenza
del
divorzio,
non
scioglie
il
vincolo
coniugale,
-vedi
il
secondo
paragrafo
dal
presente
capitolo-)
quando
un
coniuge
consegue
il
TFR,
l’altro
ha
comunque
diritto
di
fruire
in
parte
di
tale
risorsa
ai
sensi
e
per
gli
effetti
dell’art.
143
c.c.
sopra
richiamato.
La
separazione
infatti
interrompe
la
convivenza
matrimoniale
ma
non
il
matrimonio,
né
pertanto estingue i diritti e i doveri che ne discendono.
Ottenere
la
condivisione
del
T.F.R.
dopo
la
separazione,
tuttavia,
è
più
difficoltoso
rispetto
a
quanto
avviene
durante
la
convivenza
matrimoniale
con
l’immediata
redistribuzione
di
tale
risorsa
effettuata
allo
scopo
di
soddisfare
le
esigenze
della
famiglia.
Dopo
la
separazione
infatti,
la
misura
del
contributo
di
un
coniuge
al
mantenimento
dell’altro
è
specificamente
determinata
dal
provvedimento
che
regola
la
separazione
stessa,
individuata
e
limitata
dall’entità
dell’assegno
di
mantenimento.
Pertanto,
il
coniuge
separato
che
voglia
fruire
di
parte
del
T.F.R.
dell’altro,
deve
avanzare
-in
assenza
di
un
accordo
stragiudiziale
spontaneo-
una
domanda
di
modifica
delle
condizioni
di
separazione
allo
scopo
di
ottenere
un
aumento
del
proprio
assegno
di
mantenimento.
La
legittimazione
a
tale
azione
deriva
dal
fatto
che
se
il
TFR
è
di
rilevante
entità,
ha
l’effetto
di
provocare
uno
sbilanciamento
della
precedente
composizione
dei
rapporti
patrimoniali
della
coppia
a
favore
del
coniuge
che
lo
consegue.
Il
coniuge
che
si
trova
con
meno
risorse
rispetto
alle
nuove
incrementate
disponibilità
della
famiglia
può
chiedere
pertanto
un
adeguamento della disciplina dei rapporti patrimoniali della stessa.
3)
Se
il
T.F.R.
viene
conseguito
dopo
la
poposizione
della
domanda
di
divorzio
,
il
Legislatore
ha
ritenuto
di
stabilire
una
specifica
disciplina,
fondata
sulla
necessità
di
redistribuire
le
risorse
profuse
all’interno della famiglia durante il matrimonio da entrambi i coniugi.
Gli
art.li
143
e
148
del
Codice
Civile
introdotti
dalla
riforma
del
diritto
di
famiglia
nel
’75
equiparano
esplicitamente il lavoro casalingo a quello professionale.
Il
lavoro
complessivo
occorrente
per
soddisfare
le
esigenza
familiari
viene
in
genere
diviso
tra
i
coniugi.
Spesso
accade
che
un
coniuge
esegue
un
lavoro
professionale,
l’altro,
in
genere
la
moglie
casalinga,
esegue
un
lavoro
domestico:
lava
i
panni
sporchi
del
marito,
stira,
fa
la
spesa,
prepara
da
mangiare,
lava
i
panni
sporchi
dei
figli,
cucina
per
loro,
spazza
per
terra,
pulisce
il
bagno
e
la
cucina,
porta
i
figli
al
parco
etc..
Se
il
coniuge
che
esegue
un
lavoro
professionale,
nell’esempio
il
marito,
potesse
appropriarsi
dopo
il
divorzio
dell’intero
TFR,
questo
fatto
produrrebbe
un
ingiusto
squilibrio
tra
le
risorse,
(il
tempo
e
le
energie)
profuse
dai
coniugi
per
la
soddisfazione
delle
esigenze
della
famiglia
e
le
risorse
delle
quali
gli
stessi
(ex)
coniugi
si
troverebbero
a
disporre
dopo
il
divorzio.
La
moglie
che
ha
lavorato
quanto
il
marito
vedrebbe frustrate le proprie aspettative di benessere, solo che il marito decidesse di divorziare.
Inoltre
senza
il
lavoro
della
moglie,
il
marito
probabilmente
non
avrebbe
potuto,
per
motivi
di
tempo,
dedicarsi
completamente
alla
carriera
retribuita.
In
questo
senso
la
ricchezza
ricevuta
sotto
forma
di
redditi
e
di
T.F.R.
dal
coniuge
che
esegue
il
lavoro
professionale
viene
considerata
come
frutto
di
un
complesso di attività che integra necessariamente anche quelle compiute dall’altro.
Questi
sono
i
motivi
per
cui
la
Legge
prevede
che,
ricorrendo
le
condizioni
sopra
descritte,
il
TFR
conseguito da uno dei due coniugi va diviso con l’altro.
QUANTO MI SPETTA DEL T.F.R. DI MIO MARITO?
l’art.
12
bis
della
Legge
n.
898/1970
stabilisce
che
il
coniuge
divorziato
,
qualora
sia
titolare
di
un
assegno
divorzile
e
se
non
passato
a
nuove
nozze
,
ha
diritto
ad
ottenere
una
quota
pari
al
40%
dell'indennità
di
fine
rapporto
-c.d.
T.F.R.-
conseguita
dall’altro
ex
coniuge,
rapportata
alla
coincidenza
del
tempo del matrimonio con quello del rapporto di lavoro che ha fruttato il TFR.
Così
ad
es.
se
il
coniuge
obbligato
a
pagare
l’assegno
divorzile
periodico
ha
cominciato
a
lavorare
nel
2000
e
si
è
sposato
nel
2000,
ha
divorziato
nel
2020
ed
ha
conseguito
il
trattamento
di
fine
rapporto
nel
2020,
il
beneficiario
dell’assegno
periodico
divorzile
ha
diritto
all’intero
40%
del
TFR
conseguito
dall’obbligato,
perché
il
tempo
del
matrimonio
coincide
del
tutto
con
quello
del
rapporto
di
lavoro.
Se
invece
gli
stessi
coniugi
hanno
divorziato
nel
2010,
al
beneficiario
spetterà
il
50%
del
40%
del
TFR
cioè
solo
il
20%
perché
il
tempo
del
matrimonio
2000-2010
nell’esempio,
è
la
metà
di
quello
2000-2020
del
rapporto di lavoro.
Se
il
coniuge
divorziato
ha
conseguito
un
assegno
divorzile
in
un
unica
soluzione
non
ha
diritto
al
TFR
dell’altro
coniuge
in
nessuna
misura,
poiché
tale
soluzione
comporta
la
rinuncia
a
qualunque
ulteriore pretesa di carattere economico nei confronti dell’ex coniuge più abbiente.
DA DIVORZIATA HO DIRITTO ALLA PENSIONE DI REVERSIBILITÀ
SE IL MIO EX CONIUGE MUORE?
L’art. 9 della Legge n. 898/1970
, prevede che il coniuge divorziato:
1
.
se beneficiario di un
assegno divorzile periodico
,
2
.
se non passato a nuove nozze
,
3
.
se
il
rapporto
di
lavoro
da
cui
trae
origine
il
trattamento
pensionistico
è
anteriore
alla
sentenza
di divorzio,
in
caso
di
morte
dell'ex
coniuge,
ha
diritto
a
percepire,
(da
solo
o
in
concorso
con
eventuali
altri
coniugi
sposati dal de cuius dopo il divorzio) la pensione di reversibilità.
In
particolare,
rispetto
all’intero
ammontare
della
pensione
che
riceveva
il
de
cuius,
spetta
(a
titolo
di
pensione di reversibilità):
1
.
il 60% al coniuge superstite senza figli, (ovvero il 70% se vi è solo 1 figlio senza il coniuge)
2
.
l’80% al coniuge superstite con un figlio, (ovvero 2 figli senza il coniuge)
3
.
il 100% al coniuge superstite con 2 o più figli, (ovvero tre figli senza il coniuge).
Se
l’ex
coniuge
deceduto
non
si
era
risposato,
il
divorziato
superstite
ha
diritto
all’intera
pensione
di
reversibilità,
calcolata
come
sopra
descritto,
altrimenti
ad
una
parte
di
questa,
proporzionale
alla
durata
del proprio matrimonio rispetto a quella del matrimonio degli altri coniugi successivi del de cuius.
La
pensione
di
reversibilità
spetta,
alle
stesse
condizioni
sopra
elencate,
anche
al
convivente
superstite di un
unione civile
.
La
pensione
di
reversibilità
spetta
ai
figli
solo
se
erano
a
carico
del
genitore
defunto
,
con
i
seguenti
limiti:
1
.
Se minorenni, sempre, fino alla maggiore età, cioè fino al compimento degli anni 18.
2
.
Se studenti delle scuole medie superiori, fino al compimento del 21esimo anno di età.
3
.
Se studenti universitari, fino al 26esimo anno di età.
_________________________________
Se
il
coniuge
divorziato
ha
conseguito
un
assegno
divorzile
in
un
unica
soluzione
non
ha
diritto
alla
pensione
di
reversibilità
dell’altro
ex
coniuge
deceduto,
in
nessuna
misura,
poiché
detta
soluzione
comporta
la
rinuncia
a
qualunque
ulteriore
pretesa
di
carattere
economico
nei
confronti
dell’ex
coniuge
più
abbiente.
La
pensione
di
reversibilità
è
riservata
a
chi,
oltre
alle
altre
condizioni
spiegate
nel
presente
paragrafo, gode di un
assegno divorzile
periodico
. cfr. Cass. S.L. 05/05/2016 n. 9054
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