INDICE DEL CAPITOLO
COS’È
LA
SEPARAZIONE
DEI
CONIUGI
-
LA
CASA
FAMILIARE
-
IL
DIRITTO
DI
ASSEGNAZIONE
-
L’AFFIDAMENTO
DEI
FIGLI
-
L’ASSEGNO
DI
MANTENIMENTO
-
L’ASSEGNO
PER
IL
CONCORSO
AL
MANTENIMENTO
DEI
FIGLI
-
LA
SEPARAZIONE
CON
ADDEBITO
-
SEPARAZIONE
DEI
BENI
E
REGIME
PATRIMONIALE
DELLA
FAMIGLIA
-
RIMBORSI
E
RESTITUZIONI
-
DIRITTI
SUCCESSORI
NELLA
SEPARAZIONE
-
LA
RICONCILIAZIONE
-
LE
TASSE
E
LE
AGEVOLAZIONI
FISCALI
-
MODIFICA
DELLE CONDIZIONI DI SEPARAZIONE
CLICCA SUI LINK DELL’INDICE
_____________________________________________
COS’È IL REGIME PATRIMONIALE DELLA FAMIGLIA?
Il
regime
patrimoniale
della
famiglia
è
la
disciplina
legale
che
regola
i
rapporti
patrimoniali
fondamentali
dei
coniugi.
Esso
prevede
tre
soluzioni:
il
“regime
della
separazione
dei
beni”
,
il
“regime
della
comunione dei beni”
e il
“regime della comunione convenzionale”.
COS’È IL REGIME DELLA SEPARAZIONE DEI BENI, DELLA COMUNIONE DEI BENI E DELLA
COMUNIONE CONVENZIONALE DEI BENI?
La
separazione
dei
beni,
la
comunione
dei
beni
e
la
comunione
convenzionale
dei
beni
sono
tre
discipline
legali
con
differenti
caratteristiche
che
i
coniugi
possono
liberamente
(ma
alternativamente)
scegliere
per
regolare come preferiscono i propri rapporti patrimoniali.
COSA STABILISCE IL REGIME DELLA SEPARAZIONE DEI BENI?
La
legge
stabilisce
che
se
i
coniugi
scelgono
il
regime
della
separazione
dei
beni
“
gli
acquisti”
(cioè
il
conseguimento
del
diritto
di
proprietà
di
una
cosa
verso
il
corrispettivo
di
un
prezzo
-
art.
1470
c.c.)
effettuati
da
uno
solo
dei
coniugi
(dunque
dopo
il
matrimonio)
ricadono
al
100%,
dunque
esclusivamente,
nella
sua
sfera patrimoniale.
I
“frutti”
(cioè
ad
es.
i
canoni
di
locazione
di
immobili
appartenenti
ad
uno
dei
coniugi)
e
“i
proventi
dell’attività
professionale”
che
non
siano
stati
consumanti
al
momento
in
cui
la
coppia
si
separa
(e
cioè
i
risparmi),
rimangono
di
proprietà
del
coniuge
che
li
ha
conseguiti
e
accantonati
e
non
vanno
divisi
con
l’altro
in nessuna misura.
COSA STABILISCE IL REGIME DELLA COMUNIONE DEI BENI?
Se
i
coniugi
scelgono
la
comunione
dei
beni
(art.
177
c.c.)
“gli
acquisti”
successivi
al
matrimonio
ricadono
ope legis in comproprietà per pari quota (quindi al 50%) in capo ad entrambe i coniugi.
Se
ad
esempio
uno
solo
dei
coniugi
che
hanno
scelto
il
regime
della
comunione
dei
beni
si
reca
da
un
notaio,
compra
una
casa
e
la
intesta
solo
a
se
(dunque
fa
apparire
sul
contratto
solo
il
proprio
nome
come
parte
acquirente),
consegue
per
legge
solo
il
50%
della
proprietà
di
detto
immobile
mentre
il
restante
50%
della
proprietà
viene
attribuito
dalla
legge
all’altro
coniuge,
indipendentemente
dalla
volontà
e
delle
dichiarazioni
dell’acquirente
contenute
nel
contratto.
La
dichiarazione
inserita
dall’acquirente
nel
contratto
di
acquisto
di
voler
escludere
l’altro
coniuge
dalla
proprietà
e
di
volerla
conseguire
solo
per
se
è
nulla
per
contrarietà a norme imperative e come non apposta.
Inoltre,
con
la
comunione
dei
beni,
ricadono
in
comproprietà
per
pari
quota
(cioè
al
50%)
anche
i
frutti
civili
(cioè
i
canoni
di
locazione)
dei
beni
di
proprietà
esclusiva
di
ciascuno
dei
coniugi,
percepiti
e
non
consumati
al
momento
della
separazione
e
i
proventi
dell'attività
lavorativa
di
ciascuno
dei
coniugi
che
al
momento
della
separazione
non
siano
stati
consumati
(cioè
i
risparmi).
Dunque
con
la
comunione
dei
beni
i
risparmi
comunque
conseguititi
da
entrambi
i
coniugi,
anche
separatamente,
che
sussistano
(perché
non
consumati) al momento della separazione personale della coppia, vanno divisi in parti uguali.
Le
aziende
gestite
da
entrambi
i
coniugi
e
costituite
dopo
il
matrimonio
anche
da
uno
solo
dei
due,
sono
di proprietà di entrambi ope lagis.
Il regime della comunione dei beni prevede le seguenti eccezioni:
Non costituiscono oggetto della comunione e sono beni
personali
del coniuge
(art. 179 c.c.)
:
a)
i
beni
di
cui,
prima
del
matrimonio,
il
coniuge
era
proprietario
o
rispetto
ai
quali
era
titolare
di
un
diritto reale di godimento;
b)
i
beni
acquisiti
successivamente
al
matrimonio
per
effetto
di
donazione
o
successione
,
quando
nell'atto di liberalità o nel testamento non è specificato che essi sono attribuiti alla comunione;
c)
i
beni
di
uso
strettamente
personale
di
ciascun
coniuge
ed
i
loro
accessori
(rasoio,
biancheria,
abbigliamento scarpe, strumenti professionali etc.);
d)
i
beni
che
servono
all'esercizio
della
professione
del
coniuge,
tranne
quelli
destinati
alla
conduzione
di
una azienda facente parte della comunione;
e)
i
beni
ottenuti
a
titolo
di
risarcimento
del
danno
nonché
la
pensione
attinente
alla
perdita
parziale
o
totale della capacità lavorativa.
f)
i
beni
acquisiti
con
il
prezzo
del
trasferimento
dei
beni
personali
sopraelencati
o
col
loro
scambio,
purché:
1) ciò sia espressamente dichiarato all'atto dell'acquisto e
2) di esso sia stato parte anche l'altro coniuge.
COSA STABILISCE IL REGIME DELLA COMUNIONE CONVENZIONALE DEI BENI?
Il
regime
della
comunione
convenzionale
dei
beni
prevede
che
i
coniugi
possono,
con
atto
notarile
(art.
162
c.c.)
,
stipulare
una
convenzione
con
la
quale
includere
nella
comunione
determinate
risorse,
ad
es.
i
redditi
appena formati, quindi non solo quelli non consumati al momento della separazione, cioè i risparmi.
Ai
sensi
dell’art.
26
della
l.
27.4.1989
n.
154,
questa
soluzione
non
ha
efficacia
ai
fini
della
determinazione
delle
imposte
sui
redditi.
Cioè
se
con
una
convenzione
si
redistribuiscono
i
redditi
di
un
coniuge
dividendoli
tra
i
due
in
parti
uguali,
non
è
possibile
sostenere
che
ciascuno
guadagna,
per
il
fatto
della
divisione,
la
metà
e
pagare
in
questo
modo
aliquote
fiscali
inferiori.
Vedi
l’argomento
tasse
e
agevolazioni fiscali nella separazione
.
E’
possibile
includere
ed
es.
anche
i
beni
di
cui
un
coniuge
era
già
proprietario
prima
del
matrimonio
o
i
beni
ereditati
dopo
il
matrimonio,
che
in
assenza
di
una
convenzione
non
ricadono
nella
comunione
-vedi
paragrafo
precedete),
e/o
escludere
dalla
comunione
alcuni
beni,
come
determinati
acquisti,
con
i
limiti
di
cui
all’
art.
210
c.c.
(ad
es.
non
si
può
stabilire
che
uno
dei
coniugi
consegua
il
70%
della
proprietà
dei
beni
acquistati in comunione e l’altro il 30% essendo per legge imperativa stabilita la divisione al 50%).
La convenzione deve essere annotata a margine dell’atto di matrimonio per essere opponibile ai terzi.
In
assenza
della
annotazione
della
convenzione
-o
della
scelta
del
regime
di
separazione
dei
beni-
infatti,
vige
il
regime
legale
della
comunione
dei
beni.
Se
in
base
a
tale
regime
un
coniuge
che
abbia
debiti
consegue
la
proprietà
di
beni,
questi
possono
essere
aggrediti
con
procedimento
esecutivo
dai
suoi
creditori
per
soddisfare
il
proprio
credito.
Per
impedire
che
i
terzi
creditori
possano
aggredire
quei
beni
è
necessario
annotare
la
convenzione
che
escluda
detti
beni
dalla
comunione.
Perché
tale
esclusione
abbia
effetto,
la
convenzione
deve
essere
precedente al sorgere del debito.
Tale istituto è scarsamente utilizzato.
SE MI SPOSO IN COMUNIONE DEI BENI, I BENI CHE POSSEDEVO PRIMA DEL MATRIMONIO RICADONO IN
COMUNIONE? CIOÈ DIVENTANO PROPRIETÀ AL 50% DELL’ALTRO CONIUGE?
No,
come
sopra
detto,
i
beni
che
i
coniugi
avevano
prima
del
matrimonio
non
ricadono
in
comunione
ma
rimangono di proprietà esclusiva
(art. 179 c.c. comma primo lett. a)
.
COME E QUANDO POSSO SCEGLIERE O CAMBIARE IL REGIME DELLA SEPARAZIONE O DELLA
COMUNIONE DEI BENI?
La scelta del regime patrimoniale può essere fatta:
1)
Quando
una
coppia
si
sposa
,
(art.
162
c.c.)
può
dichiarare
all’Ufficiale
di
stato
di
Civile,
o
al
celebrante
ecclesiastico
del
matrimonio,
di
scegliere
come
regime
patrimoniale
della
famiglia
quello
della
separazione
dei
beni
.
Se
nessuna
scelta
viene
effettuata
,
gli
sposi
ricadono
ope
legis
nel
regime
patrimoniale
della
comunione dei beni
.
2)
In
qualunque
momento
,
una
coppia
in
comunione
dei
beni
o
in
separazione
può,
senza
obbligo
di
motivazione,
cambiare
il
proprio
regime
patrimoniale
con
atto
notarile
(art.
162
c.c.)
.
Naturalmente
per
fare
ciò,
occorre
il
consenso
spontaneo
di
entrambi
i
coniugi.
Il
Notaio
non
può
a
richiesta
di
un
coniuge
mutare
il
regime patrimoniale della famiglia contro la volontà dell’altro.
3)
Quando
una
coppia
in
comunione
dei
beni
si
separa
personalmente
,
giudizialmente
o
consensualmente
dunque
su
iniziativa
rispettivamente
di
uno
o
di
entrambi,
il
regime
patrimoniale
muta
ope
legis
in
quello
della
separazione
dei
beni
(art.
191
c.c.)
.
Pertanto
tutti
gli
acquisti
successivi
alla
separazione
ricadranno
in
proprietà
esclusiva
in
capo
all’acquirente.
Nulla
cambia
evidentemente
per
le
coppie
che
invece
si
trovavano
già
nel
regime
di
separazione
dei
beni,
per
averlo
scelto
al
momento
del
matrimonio
o
per
averlo
mutato per atto notarile successivamente.
4)
Nel
caso
di
interdizione
inabilitazione
o
disordine
negli
affari
di
uno
dei
coniugi
(art.193
c.c.)
.
La
mutazione
del
regime
patrimoniale
viene
in
questo
caso
disposta
dal
giudice,
su
istanza
di
uno
dei
coniugi,
all’esito di un procedimento giudiziale.
SE SONO IN REGIME DI COMUNIONE DEI BENI E MI SEPARO, QUANDO POSSO EFFETTUARE UN
ACQUISTO SENZA CHE QUESTO RICADA ANCHE NELLA SFERA PATRIMONIALE DELL’ALTRO CONIUGE?
Dal
1975
al
2015
la
legge
prevedeva
che
il
mutamento
del
regime
di
comunione
dei
beni
per
i
separati
si
verificasse
solo
con
il
passaggio
in
giudicato
della
sentenza
di
separazione
giudiziale
o
con
l’omologazione
della separazione consensuale.
La
Legge
6
maggio
2015,
n.
55
(GU
n.107
del
11-5-2015)
ha
innovato
tale
termine
modificando
l’
(art.
191
c.c.)
del
codice
civile
e
stabilendo
che
«Nel
caso
di
separazione
personale,
la
comunione
tra
i
coniugi
si
scioglie
nel
momento
in
cui
il
presidente
del
tribunale
autorizza
i
coniugi
a
vivere
separati,
ovvero
alla
data
di
sottoscrizione
del
processo
verbale
di
separazione
consensuale
dei
coniugi
dinanzi
al
presidente,
purché
omologato
.
L'ordinanza
con
la
quale
i
coniugi
sono
autorizzati
a
vivere
separati
e'
comunicata
all'ufficiale
dello
stato
civile
ai
fini dell'annotazione dello scioglimento della comunione».
Le
parole
“purché
omologato”
significano
che
se
la
procedura
non
si
perfeziona
e
si
estingue
senza
l’omologazione
(perché
ad.
es.
il
collegio
trova
inadatte
le
pattuizioni
dei
coniugi
sull’affidamento
dei
figli
o
sulla
misura
degli
assegni
per
concorrere
al
mantenimento
di
questi),
gli
acquisti
successivi
al
momento
in
cui
il
giudice
autorizza
i
coniugi
a
vivere
separati
ricadono
comunque
in
comunione.
Pertanto
è
bene
effettuare
acquisti
importanti
solo
dopo
l’omologazione
se
si
vuole
essere
certi
che
non
ricadano
al
50%
in
comproprietà
con l’altro coniuge.
I BENI CHE ABBIAMO ACQUISTATO DURANTE IL MATRIMONIO NEL REGIME DI COMUNIONE LEGALE DEI
BENI, COME VENGONO DIVISI DOPO LA SEPARAZIONE?
La
comunione
legale
dei
beni
non
è
solo
la
condizione
giuridica
che
consente
ad
un
coniuge
di
diventare
comproprietario
al
50%
degli
acquisti
effettuati
dall’altro
coniuge,
ma
anche
una
disciplina
a
cui
sono
assoggettati i beni acquistati.
(Tale
disciplina
è
definita
dagli
art.li
180
c.c.
s.s.,
che
stabiliscono
come
amministrare
tali
beni
per
volgerli
alla
soddisfazione
delle
esigenze
della
famiglia.
Ad
es.
è
stabilito
che
gli
atti
eccedenti
l’ordinaria
amministrazione
spettano
congiuntamente
ad
entrambi
i
coniugi,
che
quindi
non
possono
individualmente
disporne.
Se
un
coniuge
li
cede
a
terzi
senza
avvertire
l’altro,
tale
atto
di
cessione
è
annullabile
ex
art.lo 184 c.c.. È stabilito di quali crediti i beni della comunione rispondono etc.).
Come
detto,
con
la
separazione
dei
coniugi,
il
regime
patrimoniale
della
famiglia
muta
ope
legis,
cioè
“automaticamente”,
per
previsione
espressa
di
legge,
(
art.
n.191
c.c.
)
da
quello
della
comunione
legale
dei
beni a quello della separazione dei beni.
Pertanto
se
i
coniugi
sposati
possono
essere
in
comunione
o
in
separazione
dei
beni,
i
coniugi
separati
sono sempre nel regime di separazione dei beni.
Un
altro
effetto
della
separazione
è
nel
fatto
che
i
beni
acquistati
durante
la
convivenza
matrimoniale
da
uno
dei
coniugi
nel
regime
di
comunione
legale
e
pertanto
ricaduti
al
50%
in
comproprietà
con
l’altro
e
soggetti
alla
disciplina
della
comunione
legale
dei
beni
(art.li
180
c.c.
s.s.),
diventano
invece
soggetti
alla
diversa disciplina della
comunione ordinaria
(art.li 1100 c.c. s.s.).
Gli
stessi
beni
quindi,
sono
soggetti
a
due
normative
che
regolano
in
modo
differente
il
potere
dei
coniugi di disporne, prima e dopo la separazione.
La
disciplina
della
comunione
ordinaria
dei
beni,
nella
quale
ricadono
i
coniugi
dopo
la
separazione,
prevede
che
gli
stessi
diventino
“comproprietari
ordinari”
(detti
anche
“comunisti”
)
,
dei
beni
che
prima
appartenevano alla comunione legale.
La stessa disciplina prevede che i coniugi diventati comproprietari ordinari di beni:
1
.
o
si
accordano
sulla
destinazione
da
dare
ai
detti
beni:
(ad
es.
locarli
a
terzi
e
dividersi
il
ricavato,
oppure
vendere i beni sul libero mercato e dividersi il prezzo conseguito),
2
.
oppure,
se
non
si
accordano,
ciascuno
dei
due
anche
contro
la
volontà
dell’altro
,
può
chiedere
al
giudice
di disporre la
c.d. divisione coattiva
(detta anche
“divisione giudiziale”
) dei beni (art.lo 1111 c.c.).
Detto
istituto
prevede
che
il
giudice
divida
i
beni
in
comproprietà
ordinaria
tra
i
coniugi,
se
possibile
in
natura:
(es.
se
i
coniugi
hanno
due
villini
a
schiera
della
stessa
cubatura
in
comproprietà
pro
indiviso,
il
giudice
ne
assegna
in
proprietà
esclusiva
uno
ad
un
coniuge
e
uno
all’altro).
Se
non
è
possibile
la
divisione
in
natura,
l’intero
bene
in
comproprietà
viene
venduto
alle
aste
pubbliche,
trasformato
così
in
denaro
ed
il
ricavato consegnato agli ex comproprietari in ragione delle (ex) rispettive quote di comproprietà (50%) .
Tale
soluzione
il
legislatore
ha
stabilito
perché
se
il
comproprietario
ordinario
non
potesse
disporre
del
bene
se
non
accordandosi
con
l’altro
(o
gli
altri
eventuali
comproprietari),
quel
bene
potrebbe
diventare
di
fatto
inutilizzabile
e
non
potrebbe
entrare
nel
mercato
e
concorrere,
con
gli
scambi
commerciali,
alla
creazione
di
ricchezza
della
Nazione,
soddisfacendo
così
la
funzione
della
proprietà
prevista
dalla
Costituzione.
SE IO C’HO MESSO SOLDI MIEI PER COMPERARE COSE CHE PER IL FATTO DELLA COMUNIONE SONO ORA
ANCHE DELL’ALTRO CONIUGE, LI POSSO RIAVERE?
L’art.lo
192
c.c.
stabilisce
che
“ciascuno
dei
coniugi
può
richiedere
la
restituzione
delle
somme
prelevate
dal
patrimonio personale
(art. 179 c.c.)
ed impiegate in spese ed investimenti del patrimonio comune”
.
Tale
facoltà
è
de
facto
limitata
da
un
orientamento
giurisprudenziale
consolidato
che,
avuto
riguardo
alla
natura
endo-familiare
di
tali
conferimenti,
in
assenza
di
un
documento
che
provi
il
contrario,
presuppone
che
abbiano
formato
oggetto
di
una
donazione
indiretta
all’altro
coniuge,
in
quanto
tale
non
ripetibile
(dal
latino
repeto = chiedo indietro).
Se
si
può
dimostrare
-ad
es.
con
un
contratto-
che
mancava
la
volontà
del
coniuge
di
offrire
per
spirito
di
liberalità
tali
somme,
cioè
di
donarle,
queste
possono
essere
chieste
in
restituzione.
Se
invece
non
è
possibile
provare
che
il
coniuge
che
ha
consegnato
dette
somme
all’altro
le
voleva
riavere,
si
presuppone
la
donazione
indiretta delle stesse e non è possibile ottenerle in restituzione.
“Poiché
in
sede
di
divisione
dei
beni
oggetto
della
comunione
legale
tra
i
coniugi
i
beni
devono
dividersi
inderogabilmente
in
parti
uguali,
un
coniuge
può
pretendere
dall’altro
la
restituzione
delle
somme
che
assume
essere
state
prelevate
dal
patrimonio
personale
ed
impiegate
in
spese
ed
investimenti
per
la
comunione,
solo
ove
dimostri
che
esisteva
un
accordo,
quantomeno
tacito
tra
le
parti,
che
trattavasi
di
anticipazioni
di
un
coniuge
a
favore della comunione e non di donazioni indirette all’altro”
Trib. Bergamo 18-3-1983 Giust. Civ. 83, I.
Simmetricamente
“
Ciascuno
dei
coniugi
è
tenuto
a
rimborsare
alla
comunione
le
somme
prelevate
dal
patrimonio
comune
per
fini
diversi
dall'adempimento
delle
obbligazioni
previste
dall'articolo
186”
(cioè
per
spese
necessarie
per
il
mantenimento
della
famiglia).
Quindi
se
un
coniuge
ha
prelevato
dal
patrimonio
comune
delle somme per soddisfare propri voluttuari desideri è tenuto a restituire tali somme alla comunione.
I
rimborsi
e
le
restituzioni
si
effettuano
al
momento
dello
scioglimento
della
comunione.
l
eggi
qui
l’intero
art.lo 192 c.c.
Non
possono
essere
chiesti
in
restituzione
invece
i
redditi
da
lavoro
che
non
derivano
dal
“patrimonio
personale”
e
che
se
non
consumati
consistono
nei
c.d.
risparmi
cioè
nella
“communo
de
residuo”
e
vanno
divisi
in parti uguali ex art.li
177, 178 c.c.
e 194 c.c.
).
SE MI SEPARO, CONSERVO I DIRITTI SUCCESSORI?
Si.
La
separazione
è
una
condizione
che
la
coppia
sperimenta
durante
il
matrimonio.
I
coniugi
separati
sono
ancora
marito
e
moglie
e
il
matrimonio,
durante
la
separazione,
sussiste
e
si
conserva.
Pertanto
il
coniuge
separato
(senza
addebito
)
ha
gli
stessi
diritti
successori
(cioè
il
diritto
di
ereditare
parte
dei
beni
del
coniuge)
del
coniuge sposato e non separato
(art.lo 585 c.c.)
.
Il
coniuge
è
presente
nell’elenco
dei
successibili,
cioè
coloro
ai
quali
la
legge
stessa
attribuisce
la
qualità
dei
eredi
nel
caso
in
cui
il
de
cuius
non
abbia
fatto
testamento
(c.d.
successione
ab
intestato)
(art.lo
565
c.c.)
e
nell’elenco
dei
legittimari,
cioè
di
coloro
(tra
cui
moglie
e
figli)
cui
è
assicurata
dalla
legge
una
quota
dell’eredità
della
quale
il
testatore
non
può
disporre
a
favore
di
terzi
art.lo
536
c.c.
.
Leggi
perché
una
quota
dell’eredità
è
riservata alla moglie e ai figli
.
Il
coniuge
separato
con
addebito
invece
perde
i
diritti
successori
ed
ha
soltanto
diritto
ad
un
assegno
vitalizio se al momento del decesso del coniuge godeva del dritto ad un
assegno alimentare
a carico dello stesso.
SE MI SEPARO, I MIEI FIGLI CONSERVANO I DIRITTI SUCCESSORI?
Si.
I
figli
conservano
esattamente
gli
stessi
diritti
successori
nei
confronti
di
entrambi
i
genitori
indipendentemente
dal
fatto
che
questi
si
separino
o
divorzino.
I
figli
sono
inoltre
protetti
dalla
Legge
che
riserva
loro
una
quota
dell’eredità
che
il
testatore
(colui
che
fa
il
testamento)
non
può
disporre
che
sia
trasferita
a
terzi
art.lo
536
c.c.
.
Per
fare
un
esempio,
il
genitore
non
può
lasciare
per
testamento
tutti
i
propri
averi
ad
un’amante.
Se
lo
fa,
quel
testamento
è
nullo
nella
misura
in
cui
vìola
la
quota
riservata
obbligatoriamente
ai
figli
(vedi
anche
paragrafo precedente).
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